VAI COL TESSUTO LA PROTESTA È AL PECCI
Riciclato, protettivo, modaiolo: una originale mostra ne esplora il ruolo e le sue declinazioni come pratica artistica e trasgressiva Una ricerca che ha avuto il suo punto di partenza nella storia della città
Una storia da raccontare per parlare del dissenso e della ribellione: con una mostra che mette al centro una collezione realizzata nel museo, i simboli della protesta e i documenti che la testimoniano.
La mostra, a cura di Camilla Mozzato in collaborazione con Marta Papini, è stata appena inaugurata al Centro Pecci di Prato e si intitola Protex! Quando il tessuto si fa manifesto. «La storia di Prato è stata il punto di partenza della nostra ricerca — spiega Mozzato — non solo per il tipo di materiale che comunica la ribellione, ma anche per il tema del lavoro, che risulta al centro dell’azione di molti degli artisti scelti». Chi pensa alle proteste del passato, tuttavia, non coglie appieno lo sforzo dell’esposizione. Il progetto, infatti, indaga soprattutto i modi in cui la più recente generazione di artisti prenda in considerazione l’uso del tessuto e le sue diverse declinazioni come pratica trasgressiva. «Nella nostra analisi vorremmo anche sottolineare come le proteste di oggi — continua Mozzato — siano più coscienti, anche se spesso non sono più di piazza, dunque anche meno strumentalizzabili». Insomma una mostra – anche – sul tessuto, che lo indaga come mezzo intercettando e rilanciando la storia della produzione industriale della città in cui sorge il museo. Striscioni, stendardi, t-shirt, arazzi artigianali: tutti mezzi che nel mondo hanno dato e danno voce a istanze di protesta spontanee. «La ricerca si è rivolta ad artisti di qualsiasi provenienza che approfondiscono e si accostano ad un mondo che Prato frequenta e ispira, come quelli del riciclo e delle migrazioni. Molti dei lavori ripercorrono il viaggio dei tessuti e la loro trasformazione». La mostra si apre con l’ambiente site-specific realizzato dal collettivo greco Serapis Maritime Corporation, che opera con un linguaggio tra arte, design e moda. Si prosegue con le sculture tessili realizzate da Pia Camil (Città del Messico, 1980) che espone t-shirt e jeans di seconda mano: indumenti prodotti in America Latina per gli Stati Uniti, che tornano ai luoghi d’origine una volta smessi, seguendo le rotte inique delle migrazioni e del commercio globale. Attraverso i suoi arazzi Otobong Nkanga (Kano, Nigeria, 1974) esplora invece cambiamenti sociali e topografici, evidenziando la memoria collettiva della relazione tra uomo e natura.
La ricerca delle curatrici ha portato in dote alla mostra persino una parte di arte documentale, quasi didascalica, che cerca assonanze con esperienze del tutto simili a quella industriale pratese. È il caso dell’opera di Vladislav Shapo