Cacciatori: faccio volare le aziende, grazie al volley
Cacciatori, ex campionessa azzurra di pallavolo, ora lavora come consulente aziendale «Mi aiuta ciò che ho imparato nello sport»
Ha mantenuto il segreto per un anno intero. È il 2007 e Maurizia Cacciatori milita nella Icaro di Palma di Maiorca. Il suo segreto è una decisione maturata a inizio stagione: finire il campionato e lasciare per sempre la pallavolo. Non lo ha detto alle compagne. Non lo ha detto ai genitori. «Credo fortemente che tutto abbia un inizio e una fine, ai cicli della vita che si danno il cambio — ripensa oggi — e non volevo un addio triste o disperato, lo volevo bello. Avevo chiaro questo concetto fin da giovanissima».
E dire che «il mio ruolo, quello di palleggiatrice, è particolare — racconta la campionessa carrarina — siamo le più longeve del volley, possiamo giocare anche oltre i 35 anni, ma io ho smesso a 33» perché «da curiosa quale sono volevo conoscermi sotto altre vesti, mettermi alla prova». Non rammenta quando è scattato in lei pensiero, ma ricorda molto bene che «me lo volevo godere appieno quell’ultimo anno, volevo che ogni partita fosse la più bella, la tappa di un percorso da onorare palla dopo palla». Ha stampato nella memoria la sua ultima giocata: «Un pallonetto di seconda che ci ha dato la vittoria della partita. Volevo che a chiudere la partita fosse un mio gesto». Di scudetti ne ha vinti quattro in Italia e uno in Spagna. Oltre a un bronzo e un argento agli Europei con la Nazionale e tre Champions League. Quell’ultima vittoria porta in dote un titolo meno prestigioso, una promozione nella serie maggiore. Ma lei ne parla come di un altro «campionato vinto».
È una delle pallavoliste più forte di sempre, bella, bionda, statuaria come una modella, carattere d’acciaio, mentalità da manager d’azienda. «E infatti è a loro, agli amministratori delegati, che ora alzo la palla per permettergli di schiacciare». Perché è così che definisce il mestiere che svolge adesso: «Offrire loro la palla perfetta». «Avendo girato il mondo grazie al volley, parlo tre lingue e adoro il mondo della comunicazione. Volevo testare le mie capacità di trasmettere fuori dalla palestra ciò che ho imparato dallo sport». Oggi «sviluppo tematiche sullo spirito di squadra», «esercito lo spirito di resilienza», «come si vive il cambiamento». Usa tutti questi giri di parole per identificare il suo lavoro perché detesta il termine «motivatrice». «Tutto ciò che ho vissuto da sportiva è diventato importante come relatrice aziendale. Perché la palleggiatrice è l’anima, lo specchio della squadra. Deve cercare di essere empatica, capire velocemente chi ha di fronte, se sei un’atleta introversa o esplosiva, e dare a ogni compagna l’equilibrio necessario. La palleggiatrice è il punto di riferimento». Sono troppi elementi, troppo complessi, per racchiuderli nella semplice definizione di «motivatore». Anche perché «le motivazioni le trovi in te stesso, e se non credi in quello che fai non te le posso dare io».
Maurizia «costruisce team». Cambia solo la «disciplina» in cui agisce: «Organizzo le aziende come fossero squadre. Purtroppo spesso sono gruppi di persone che pensano al singolare e per questo i risultati arrivano con lentezza». È come se non avesse mai smesso di giocare. «L’eredità più grande che la pallavolo mi ha regalato, oltre alle coppe, è il coraggio e la capacità di mettermi in gioco, il saper comunicare e delegare. Tutti temi che alleno quotidianamente in questo mestiere». Usa il verbo «alleno», non a caso. Il giorno dopo quell’ultima partita «riunisco tutta la mia famiglia, genitori, fratelli, passiamo la giornata insieme e gli comunico la decisione di smettere. Non volevo una festa di addio, anche perché non c’è stato nessun addio: la pallavolo è rimasta con me tutti i giorni, la commento ogni tanto su Dazn, mantengo relazioni con le giocatrici. Sono anche tifosa, ma non di una squadra in particolare. Non come nel calcio dove tifo Napoli». Si getta subito nell’altro campo di sfida. «Oggi le mie partite le gioco nelle convention. Ne faccio centinaia, è come se fosse un lungo campionato».
Poi c’è stata la famiglia che ha voluto creare lei. Stava per costruirla con Gianmarco Pozzecco, stella del basket. Naufragata a pochi metri dall’altare. Ci è riuscita con un altro cestista, il livornese Francesco Orsini, sposato nel 2009. E da allora vive a Livorno anche lei. Hanno avuto due figli: Carlos, 9 anni, «gioca a calcio come portiere». Ines, 8, che «mi ha tradita — scherza — e invece della pallavolo ha scelto la danza moderna». C’è stato qualche passaggio in tv. Un reality, L’Isola dei Famosi, «vissuto da atleta». Non lo ricorda con piacere. E anche un’esperienza col cinema: un cameo in «Maschi contro femmine» di Fausto Brizzi insieme ad alcune ex compagne di squadra nel 2010. Ma nulla batte «il riconoscimento che ricevi dalle aziende quando mi dicono che ho portato un clima di squadra dentro gli uffici».
❞ Ho conquistato tanti successi in campo, ma devo ammettere che il riconoscimento che ricevi dalle aziende quando mi dicono che ho portato un clima di squadra dentro gli uffici è una gioia vera