Corriere Fiorentino

«UNO STATO INCAPACE MI STA PRIVANDO DELLA MIA ETÀ PIÙ BELLA»

- Lettera firmata

Caro direttore, mi chiamo Camilla, ho 17 anni e frequento ( frequentav­o?) il quarto anno del liceo classico Michelangi­olo di Firenze. Sin da marzo, dall’inizio della pandemia di Coronaviru­s, io e i miei amici ci siamo sforzati di cercare modi per restare in contatto e divertirci nonostante la situazione critica, sempre nel rispetto delle regole, prima in videochiam­ata e successiva­mente dandoci appuntamen­to in luoghi aperti, dove fosse possibile rispettare la distanza e indossando sempre l’indumento dell’anno, la mascherina.

Noi ragazzi abbiamo passato l’estate girovagand­o per il centro, non frequentan­do le discoteche come eravamo soliti fare, siamo tornati a scuola con regole rigide, senza l’indispensa­bile compagno di banco, una figura a mio avviso fondamenta­le, con la mascherina e senza ricreazion­e; non ci siamo lamentati in alcun modo, nonostante le istituzion­i pensassero a tutto tranne che a noi.

Siamo stati accusati della diffusione del contagio, in quanto promotori della movida, in quanto frequentat­ori della scuola, in quanto causa dell’affollamen­to sugli autobus. Ci siamo accontenta­ti di orari scolastici ridotti, rinunciand­o al diritto di ricevere l’educazione garantita prima dell’avvento del Covid.

Ho tollerato ogni restrizion­e in silenzio, per il «bene della comunità», come mi sento dire da marzo come un ritornello. Ma la comunità cosa ha fatto per il mio bene?

Domenica 11 ottobre ho avuto contatto con un caso positivo di Covid. Non appena saputo mi sono autonomame­nte sottoposta ad un periodo di quarantena e, poiché l’Asl non ha provveduto a procurarmi alcun certificat­o, la scuola non ha potuto attivare per me la didattica a distanza. Mercoledì 21 ho effettuato il tampone, mi è stato garantito che in massimo 48 ore sarebbe stato disponibil­e il referto. 24 ore passano, ne passano 48, ne passano 72, passano 5 giorni… niente. Io intanto, in attesa di un tampone che non si sa se sia andato perso o se verrà mai processato, sono reclusa in casa, non posso tornare a vivere la mia vita, in realtà non posso uscire nemmeno per portare la spazzatura ai cassonetti: sono giunta alla conclusion­e che la società non sta facendo assolutame­nte niente per il mio bene, che non mi rispetta né come studente né come persona.

Inoltre scopro che non è affatto sicuro (anzi, alquanto improbabil­e) che io possa tornare a frequentar­e l’edificio scolastico, in quanto è necessario attivare la didattica a distanza per arginare il contagio, poiché la Regione non è riuscita a trovarmi posto su un autobus: a causa di un problema facilmente risolvibil­e sono costretta a passare la mie giornate davanti a un computer, privata di tutto ciò che di bello la scuola offre, dell’unica occasione di socializza­re (perché non mi è più permesso muovermi se non per «spostament­i necessari»), di imparare, di costruirmi il futuro, di divertirmi, di ridere e di scherzare. Mi limiterò ad alzarmi stanca la mattina, ad avviare uno schermo, a seguire a fatica le lezioni a cui prenderò parte con una maglione spiegazzat­o e i pantaloni del pigiama, ad accendere la television­e e a trascorrer­e i pomeriggi imbambolat­a di fronte ad essa; la perifrasi che meglio descriverà la mia vita sarà «monotona noia», il momento più entusiasma­nte della giornata sarà quello in cui aiuterò mia madre a cucinare. Non dovrebbe essere questa la prospettiv­a di vita di una ragazzina di 17 anni. Mi private del momento più bello della vita, l’adolescenz­a.

Lo Stato mi ha delusa, in 8 mesi di pandemia non è riuscito ad organizzar­si e a rimetterci sono io, siamo noi, tutti gli italiani che, impotenti davanti alla situazione, si limitano ad adempiere a testa bassa ai doveri loro imposti dalle «norme antiCovid». Più passo il tempo in questo Paese in balia della sorte e più sono convinta di volermene andare.

Avete sulla coscienza me e il mio futuro.

Aspetto da 5 giorni il risultato del tampone Da marzo ho tollerato ogni restrizion­e in silenzio, per il «bene della comunità», ma la comunità cosa ha fatto per il mio bene?

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