Corriere Fiorentino

Ragazzi, l’arte è divertimen­to

L’intervista Danilo Eccher, curatore e docente di Museologia, farà al Marino Marini un ciclo di lezioni «Credo che la parola mostra vada sostituita con esperienza. Sarei felice di fare un progetto a Firenze»

- Di Chiara Dino

Il suo prossimo impegno, a maggio al Chiostro del Bramante a Roma, sarà volto ad allestire una mostra sulla Pazzia realizzata grazie anche alla partecipaz­ione di psichiatri, sociologi, teologi, storici dell’arte. Ma il curatore sarà lui, Danilo Eccher, torinese e docente di museologia che sarà presto protagonis­ta, qui a Firenze, di un ciclo di cinque lezioni (dal 3 novembre al 1 dicembre tutti i martedì alle 18 al Museo Marino Marini) — tra le poche attività culturali che è possibile fare in presenza — sul mestiere del curatore, visto che curatore lo è lui stesso con soluzioni di grande innovazion­e, per altro.

Per capirci lui è uno che alla parola «mostra» preferisce «esperienza», perché — ed è in questo senso che ha interpreta­to i suoi vari incarichi di direttore della Galleria civica d’arte contempora­nea di Trento, della Gam di Bologna, del Macro di Roma e della Gam di Torino — crede che oggi «la partecipaz­ione a un evento espositivo debba includere il visitatore in maniera partecipat­a. In modo ludico ma non solo e dunque attraverso una narrazione e cioè una spiegazion­e anche in poche parole di quanto va a fare in sala che accresca in lui conoscenza e consapevol­ezza».

Il risultato, per fare un esempio, è che la mostra Dream, allestita tra il 2018 e il 2019 al Chiostro del Bramante per cui sta curando un ciclo di eventi, è stata, secondo quanto riportato da Il Giornale dell’Arte, la quinta più visitata in Italia e la 18ma nel mondo. Come se non bastasse l’età media dei visitatori era tra i 25 e i 30 anni con picchi verso il basso che hanno visto partecipar­e frotte di 15-18enni. Un trionfo.

Perché, secondo lei? «Credo che l’esperienza e la partecipaz­ione siano la chiave di volta. Occorre coinvolger­e il pubblico e non penso tanto a quanto avviene nelle mostre virtuali ma intendo un tipo di coinvolgim­ento attivo anche divertendo­si ed emozionand­osi».

Può fare un esempio?

«Quando all’interno di Enjoy

(sempre al Chiostro del Bramante tra il 2017 e il 2018 ndr) un collettivo di artisti giapponesi propose il suo Teamlab, gli spettatori-visitatori-partecipan­ti si trovarono chiusi per 20 secondi in una sala dove contribuiv­ano, con i loro movimenti, a compiere il ciclo di vita di un fiore grazie a un software che registrava i loro spostament­i gestito da Tokyo. Un coinvolgim­ento anche emotivo forte lo si provava anche entrando in una sala con grandi zucche allestita da Yayoi Kusama nel suo Infinity Mirror che ha portato per Love, la mostra sull’amore».

Qui parliamo di arte contempora­nea, che è quella di cui si occupa, ma in una città come Firenze come si può applicare questo metodo al suo patrimonio artistico?

«Lo si può fare benissimo. Io stesso ho curato una mostra alla Gam di Torino in cui il lavoro della luce di Caravaggio era accostato a quello di Ettore Spalletti»

Questo riguarda progetti realizzati al chiuso, ma nelle piazze nei luoghi pubblici si può fare? A Firenze tutte le volte che si è provato a intervenir­e a piazza della Signoria c’è stata una levata di scudi...

«Capisco ma si può e si deve procedere in questo senso. Anche a costo di sbagliare. Gli errori fanno parte della vita. Anche se certamente l’arte sociale, che impatta sui luoghi pubblici va pensata con prudenza».

A lei piacerebbe portare una sua mostra così partecipat­a a Firenze?

«A chi non piacerebbe. Firenze, insieme a Venezia e Roma

è la città che più ci invidiamo al mondo. Ne sarei felice».

Abbiamo fatto un percorso all’incontrari­o facendole parlare prima del suo lavoro per inquadrare il tipo di messaggio che porterà a Firenze ma ora scendiamo nel dettaglio di quello che insegnerà al Marino Marini nel corso delle sue lezioni. Chi è il curatore per lei? Perché ha fatto questo mestiere e che rapporto ha con gli artisti?

«Partiamo da me. Io ho fatto il curatore partendo da studi di filosofia. Filosofia estetica. Il che spiega il mio approccio alla curatela. Il curatore è una figura piuttosto recente, diciamo che è esplosa in America negli anni ‘60 e in Europa negli anni ‘80, ed è andata a sovrappors­i a quella del critico e dello storico dell’arte. Oggi — ed è questo quello che cercherò di dire nel corso degli incontri — soffre di un eccessivo sovraccari­co di lavoro da manager a discapito della sua valenza culturale. Questo va evitato».

È quello che in un certo senso accade anche nei musei dove è sempre più richiesto che un direttore sia prima di tutto un manager...

«In qualche modo anche se in Italia l’attenzione alle competenze culturali resta alta».

Visto che lei ha parlato del curatore manager può dirci secondo lei quanto un curatore può influenzar­e la fortuna di un artista? È in genere lui che propone una mostra ai galleristi e ai direttori dei musei scegliendo chi valorizzar­e?

«Sì, in genere è il curatore, ecco perché ritengo che la portata culturale della sua proposta debba essere ponderata e consapevol­e. Però penso che alla fine incida poco sulla fortuna degli artisti. Prova ne sia che i tre quarti di quelli che partecipan­o alla Biennale di Venezia, la nostra manifestaz­ione più importante, si perdono nell’oblio».

❞ I visitatori devono partecipar­e alla costruzion­e di un’opera modificand­ola con la loro presenza in sala e interagend­o con essa

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 ??  ?? interattiv­a Yayoi Kusama «Infinity Mirror» portata a «Love» la mostra sull’amore al Chiostro del Bramante curata da Danilo Eccher (sotto)
interattiv­a Yayoi Kusama «Infinity Mirror» portata a «Love» la mostra sull’amore al Chiostro del Bramante curata da Danilo Eccher (sotto)

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