«Troppe incertezze» Pitti a gennaio rischia il flop
Lo stop alle fiere nell’ultimo Dpcm preoccupa l’ad Napoleone «Avevano già aderito in 300 ma ora le aziende hanno paura»
La settimana della moda uomo di Pitti, prevista a Firenze dal 12 al 14 gennaio e in piena fase organizzativa fino al 18 ottobre (data del penultimo decreto del presidente del Consiglio sull’emergenza Coronavirus) oggi vacilla, i suoi organizzatori temono per il futuro e lanciano un appello di collaborazione al Governo
La scelta del premier Giuseppe Conte di fermare fiere nazionali e internazionali fino al 24 novembre — come da ultimo Dpcm — preoccupa i vertici dell’azienda fiorentina che sta lavorando all’evento con l’amministratore delegato Raffaello Napoleone che, dopo un periodo di lavoro in silenzio, prende la parola e lancia un messaggio rivolto a Roma: «Insieme dobbiamo trovare una soluzione per le fiere internazionali che sono appuntamenti indispensabili per la promozione dell’export dell’industria italiana — ha detto — e lo sono soprattutto per il vastissimo tessuto di piccole e medie imprese manifatturiere, incluse le realtà artigianali più strutturate, che in tantissimi casi non hanno altri strumenti altrettanto efficaci per raggiungere i mercati esteri».
In sostanza ci spiega Napoleone: «Per noi sarebbe importante che si ragionasse insieme per tornare alla situazione prevista dal precedente decreto (quello che non bloccava le fiere nazionali e internazionali ndr.). E la ragione è presto detta: per riuscire ad arrivare puntali al nostro appuntamento di gennaio è importante che le aziende che hanno deciso di venire a Pitti di gennaio abbiano delle certezze. Per loro — e a oggi ce ne sono circa 300 intenzionate a venire — partecipare implica un impegno economico e una programmazione, anche logistica e produttiva non da poco. Voglio ricordare che quella che presenteranno a gennaio è la collezione che si venderà ad autunno prossimo. Le aziende di moda lavorano con un anticipo di quasi un anno. Dopo il Dpcm del 18 ci eravamo messi nell’ordine di idee che quanto stavamo facendo andava nel verso giusto. Ora si rimette in discussione tutto mettendo in difficoltà non solo noi, che vogliamo andare avanti e lavorare per la buona riuscita della fiera ma anche, anzi soprattutto le aziende, dell’alta moda e non solo che hanno bisogno di produrre e mostrare i loro capi per immetterli nel mercato».». L’incertezza di oggi avrebbe delle ricadute, dunque, a breve e lungo termine.
«Sappiamo che il Governo, pur in una situazione finanziaria molto complessa, sta lavorando giustamente e meritoriamente anche a un robusto piano di indennizzi e di aiuti per le imprese fieristiche in sofferenza — aggiunge l’ad di Pitti — un fatto positivo che dimostra comprensione per quanto sta succedendo nel nostro settore. Gli aiuti pubblici sono e saranno fondamentali, ma solo se insieme a essi gli operatori economici potranno fare la loro parte».
Il lavoro fatto fino alla vigilia del nuovo Dpcm da Pitti andava nella direzione di garantire degli standard di sicurezza sanitaria alti, con accordi con alberghi, tassisti e realtà ricettive, con l’attivazione dei corridoi verdi per espositori e buyers con la consulenza, a chi volesse prendere parte alla fiera di gennaio, per accedere a finanziamenti ad hoc. È su questo ultimo programma di facilitazione che si sofferma ancora Napoleone: «Chi partecipa a fiere internazionali — come i nostri espositori — rientra nella categoria di quanti possono accedere ai fondi Simest di Cassa Depositi e prestiti chiedendo il 50 per cento di contributo per la spesa di partecipazione a fondo perduto e un altro 50 per cento da restituire in quattro anni. I nostri “clienti” avevano già attivato quasi tutti questa possibilità, ma vorrei ricordare che oggi la “cassaforte” Simest è vuota e va rifinanziata».
L’appello, insieme a quello di molte altre categorie, è lanciato, ora la palla passa a Roma.