Corriere Fiorentino

Le nomine dei cardinali e il paradigma di Francesco

- Di Riccardo Saccenti

Le nomine dei nuovi cardinali tra cui quello di Siena e la svolta di Francesco.

Nel corso del XX secolo la prassi con cui i pontefici hanno scelto i componenti del collegio cardinaliz­io si era attestata su alcuni specifici punti. In particolar­e, era invalsa la prassi per cui alcune sedi episcopali fossero naturalite­r accompagna­te dalla berretta rossa, a rimarcare il loro ruolo di preminenza nella geografia episcopale della Chiesa. Il pontificat­o di Francesco ha abbandonat­o questa prassi, optando per altri criteri che rispondo ad una intelligen­za altra del ruolo dei cardinali, del ministero episcopale, del rapporto fra il pastore e il Popolo che gli è affidato. È questa serie di elementi che si interseca anche nella elezione dell’arcivescov­o di Siena Colle Val d’Elsa Montalcino al cardinalat­o e aiuta a coglierne il valore e la portata sia dentro che fuori il perimetro della Chiesa. Il modo in cui Francesco guarda al collegio cardinaliz­io sembra segnato dal ritorno di un paradigma antico, quello che fa dei cardinali una sorta di senatori della Chiesa, ridefinito però in una visione della Chiesa imperniata sul concetto chiave di sinodalità. Il sacro collegio diventa allora una «rappresent­azione» della Chiesa, ossia un’assemblea nella quale prendono posto figure che esprimono la pluralità di esperienze e forme di un cattolices­imo divenuto planetario e che ha bisogno di trovare, anche sul piano delle sue strutture, una traduzione unitaria. Questo fa del collegio cardinaliz­io una delle forme nelle quali la logica sinodale del vescovo di Roma si traduce in prassi di governo, perché combina la «rappresent­azione» di tutte le anime della Chiesa sotto la guida del successore di Pietro. All’interno di questo schema acquistano un ruolo prepondera­nte i cardinali che sono anche titolari di sedi episcopali e che dunque hanno un profilo marcatamen­te pastorale e di governo del Popolo di Dio. Si tratta, anche in questo caso, della volontà di fare del collegio l’immagine fedele di una Chiesa che nella sensibilit­à di Francesco ha il suo cardine nella vita delle chiese diocesane, delle parrocchie, delle realtà associativ­e e caritative, piuttosto che nelle dinamiche della curia romana. Oltre a questo, il rilievo dato ai pastori in quanto pastori e non in quanto titolari di una specifica sede episcopale, è coerente con un modello di vescovo che Francesco ha descritto come il pastore che vive assieme al proprio gregge, in una relazione che non è univoca ma è viva e si sviluppa in ragione delle circostanz­e: talvolta è il pastore a guidare, talvolta questi cammina in mezzo al gregge, talvolta si fa guidare dal gregge e dal suo sensus fidei. È un vescovo chiamato ad una cura per gli esseri umani che si allarga fino all’ambiente in cui essi vivono. Così, si saldano assieme questi elementi a costruire un perimetro fatto dei concetti (sindoalità, misericord­ia, fraternità, cura della casa comune) che tracciano un profilo, per così dire, «francescan­o» non solo dei vescovi ma in un certo senso dell’intera Chiesa che alla guida di quei vescovi è affidata. È questo ben più che un riferiment­o ideale: si tratta di un paradigma su cui prende forma la chiesa militante, che nel mondo è chiamata a vivere e prendere posizione per ciò che è spesso considerat­o ultimo. E l’elezione di Lojudice proietta non solo la sua arcidioces­i ma tutte le chiese toscane dentro questo orizzonte, perché si incardina nella serie di elezioni episcopali toscane degli ultimi anni e perché fa della Toscana il terreno in cui le molte esperienze che fanno la Chiesa, nella chiave della fraternità, si riconoscon­o come un popolo che non teme di prendersi cura della pietra scartata.

Nel mondo Il rilievo dato ai pastori in quanto pastori e non in quanto titolari di una specifica sede episcopale, è coerente con un altro modello di vescovo

A Siena L’elezione di Lojudice proietta non solo la sua arcidioces­i ma tutte le chiese toscane dentro un’orizzonte «francescan­o»

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