Le nomine dei cardinali e il paradigma di Francesco
Le nomine dei nuovi cardinali tra cui quello di Siena e la svolta di Francesco.
Nel corso del XX secolo la prassi con cui i pontefici hanno scelto i componenti del collegio cardinalizio si era attestata su alcuni specifici punti. In particolare, era invalsa la prassi per cui alcune sedi episcopali fossero naturaliter accompagnate dalla berretta rossa, a rimarcare il loro ruolo di preminenza nella geografia episcopale della Chiesa. Il pontificato di Francesco ha abbandonato questa prassi, optando per altri criteri che rispondo ad una intelligenza altra del ruolo dei cardinali, del ministero episcopale, del rapporto fra il pastore e il Popolo che gli è affidato. È questa serie di elementi che si interseca anche nella elezione dell’arcivescovo di Siena Colle Val d’Elsa Montalcino al cardinalato e aiuta a coglierne il valore e la portata sia dentro che fuori il perimetro della Chiesa. Il modo in cui Francesco guarda al collegio cardinalizio sembra segnato dal ritorno di un paradigma antico, quello che fa dei cardinali una sorta di senatori della Chiesa, ridefinito però in una visione della Chiesa imperniata sul concetto chiave di sinodalità. Il sacro collegio diventa allora una «rappresentazione» della Chiesa, ossia un’assemblea nella quale prendono posto figure che esprimono la pluralità di esperienze e forme di un cattolicesimo divenuto planetario e che ha bisogno di trovare, anche sul piano delle sue strutture, una traduzione unitaria. Questo fa del collegio cardinalizio una delle forme nelle quali la logica sinodale del vescovo di Roma si traduce in prassi di governo, perché combina la «rappresentazione» di tutte le anime della Chiesa sotto la guida del successore di Pietro. All’interno di questo schema acquistano un ruolo preponderante i cardinali che sono anche titolari di sedi episcopali e che dunque hanno un profilo marcatamente pastorale e di governo del Popolo di Dio. Si tratta, anche in questo caso, della volontà di fare del collegio l’immagine fedele di una Chiesa che nella sensibilità di Francesco ha il suo cardine nella vita delle chiese diocesane, delle parrocchie, delle realtà associative e caritative, piuttosto che nelle dinamiche della curia romana. Oltre a questo, il rilievo dato ai pastori in quanto pastori e non in quanto titolari di una specifica sede episcopale, è coerente con un modello di vescovo che Francesco ha descritto come il pastore che vive assieme al proprio gregge, in una relazione che non è univoca ma è viva e si sviluppa in ragione delle circostanze: talvolta è il pastore a guidare, talvolta questi cammina in mezzo al gregge, talvolta si fa guidare dal gregge e dal suo sensus fidei. È un vescovo chiamato ad una cura per gli esseri umani che si allarga fino all’ambiente in cui essi vivono. Così, si saldano assieme questi elementi a costruire un perimetro fatto dei concetti (sindoalità, misericordia, fraternità, cura della casa comune) che tracciano un profilo, per così dire, «francescano» non solo dei vescovi ma in un certo senso dell’intera Chiesa che alla guida di quei vescovi è affidata. È questo ben più che un riferimento ideale: si tratta di un paradigma su cui prende forma la chiesa militante, che nel mondo è chiamata a vivere e prendere posizione per ciò che è spesso considerato ultimo. E l’elezione di Lojudice proietta non solo la sua arcidiocesi ma tutte le chiese toscane dentro questo orizzonte, perché si incardina nella serie di elezioni episcopali toscane degli ultimi anni e perché fa della Toscana il terreno in cui le molte esperienze che fanno la Chiesa, nella chiave della fraternità, si riconoscono come un popolo che non teme di prendersi cura della pietra scartata.
Nel mondo Il rilievo dato ai pastori in quanto pastori e non in quanto titolari di una specifica sede episcopale, è coerente con un altro modello di vescovo
A Siena L’elezione di Lojudice proietta non solo la sua arcidiocesi ma tutte le chiese toscane dentro un’orizzonte «francescano»