Nel silenzio del Buontalenti «Un’estate a prepararci e poi in 24 ore è svanito tutto»
Silenzio, qualche scricchiolio qua e là. Laddove si aggiravano studenti con panini e merende, adesso c’è soltanto vuoto. Che strano entrare all’istituto professionale Buontalenti all’ora di ricreazione e non sentir volare una mosca. La scuola è semideserta. C’è soltanto il 25 per cento degli studenti dentro l’istituto, come previsto dal Dpcm del premier Conte. Il restante 75 per cento fa lezione da casa. Ma non tutti hanno i computer, dice la preside. E non tutti gli insegnanti hanno le webcam. «Io sono andata a MediaWorld e l’ho comprata da sola, con il bonus docenti», spiega la vicepreside Sonia Bruno. È arrabbiata: «Ho perso quattro gradi di vista a forza di fare lezione guardando un computer». E adesso sarà ancora peggio, perché la didattica digitale integrata (ora si chiama così) sarà ancora più frequente.
È sconsolata anche la dirigente scolastica Maria Francesca Cellai. È in riunione nella sua stanza, le finestre e le porte aperte per fare circolare l’aria. Poi cammina per la scuola, guarda gli spazi vuoti. «Che desolazione, che tristezza», ripete attraversando i corridoi. Le aule sono vuote, alcune addirittura chiuse a chiave. Su 1.400 alunni nella sede e nella succursale, in questi giorni ce ne sono soltanto 350. Su 170 docenti, soltanto 32 sono a scuola. Gli altri fanno lezione dalle proprie abitazioni. E pensare che la dirigenza aveva investito (non solo denaro, ma anche tanta energia) per adeguare la scuola alle normative anti Covid. «Abbiamo lavorato tutta l’estate, abbiamo comprato litri di gel, abbiamo distanziato tutti i banchi, abbiamo programmato ingressi e uscite scaglionati. Ci siamo sforzati tantissimo. E adesso, paradossalmente, ci dicono di chiudere per il 75 per cento. Suona quasi come una beffa. Questo decreto ci mette in ginocchio e penalizza gli studenti, che hanno bisogno di socialità, di collettività».
La dirigente scolastica è delusa: «A scuola non c’erano contagi. Perché ci hanno semichiuso? Perché non si sono organizzati prima con più mezzi di trasporto per gli alunni? Il risultato sarà un danno alla mente dei nostri ragazzi, chiudere la scuola significa chiudere le menti».
Per un istituto come il Buontalenti, la didattica a distanza è ancora più difficile. Perché qui gli studenti imparano a diventare cuochi, camerieri, ristoratori, albergatori. E c’è bisogno dei laboratori. C’è bisogno di lavorare con le mani, c’è bisogno di pratica, c’è bisogno della presenza fisica. E infatti, gli unici studenti presenti — e lo saranno anche nei prossimi giorni — sono quelli dei laboratori di cucina, che sfornano pane e crostatine, brioches e torte. Le classi si alterneranno in questi spazi giorno dopo giorno.
A complicare ulteriormente la situazione del Buontalenti, l’alta percentuale di studenti disabili, complessivamente 112, più circa 300 con bisogni educativi speciali (i cosiddetti Bes). «Per loro — spiegano dalla dirigenza — è ancora più difficile lavorare da casa». In costante azione il team di dieci psicologi presente da anni in questa scuola. «La didattica a distanza sta generando stress e difficoltà psicologiche per molti dei nostri studenti — dice uno degli psicologi — ai ragazzi vengono a mancare i rapporti con i compagni, qualcuno ci ha raccontato di attacchi di panico e addirittura della comparsa di prime forme di depressione».
Nella sala bar, quella dove gli studenti imparano a fare cocktail e caffè, un elettricista monta una telecamera. «Servirà per permettere agli studenti di seguire le lezioni da casa oppure in altre aule», spiega la preside. Proprio ieri mattina, un altro operaio ha scaricato decine di piccoli banchi arrivati dal Ministero. «Un’altra beffa, ci hanno mandato i banchi proprio adesso che dobbiamo chiudere» scuote la testa la preside. Ma l’altro paradosso, racconta la preside, è che proprio in questi giorni in cui la scuola riduce il numero di studenti al 25 per cento, al Buontalenti c’è il concorso per i docenti precari. «Stamattina sono entrati sessanta aspiranti prof provenienti da cinque regioni d’Italia, abbiamo misurato la febbre ad ognuno di loro prima di entrare. Anche questo ci sembra un controsenso, si chiude la scuola ai ragazzi e allo stesso tempo si fa il concorsone nazionale facendo spostare migliaia di professori in tutta Italia».