Cortisone, eparina, ossigeno: le armi dei medici
Menichetti: non ci sono cure risolutive, ma trattiamo la malattia meglio di 6 mesi fa
(per abbassare la febbre) ed eparina (per prevenire la formazione di trombi). Nel caso in cui si rischiano infezioni batteriche concomitanti sono previsti gli antibiotici. In ospedale, il primo presidio è l’ossigeno, con mascherina, casco o ad alti flussi, quando la saturazione arriva sotto il 94%. Rimane, come a casa, il ricorso all’eparina. E si usa l’antivirale Remdesivir: «Serve nelle prime fasi, quando il paziente non è ancora intubato — spiega Menichetti — Non incide sulla riduzione della mortalità ma abbrevia i tempi di guarigione da 16 a 11 giorni». Sempre in questa fase è possibile che il paziente sia inserito nella sperimentazione nazionale del plasma, di cui Menichetti è referente nazionale: «Le sensazioni rispetto alla sua efficacia non sono negative — dice — In Italia ci sono 190 pazienti arruolati, di cui 160 in Toscana. Il primo bilancio sarà fatto a metà novembre, quando il 120° paziente arriverà a 30 giorni dalla prima infusione».
Quando il paziente finisce in terapia intensiva, si passa invece all’uso del Desametasone: «Un cortisonico, serve per i malati con una grave polmonite, intubati, a mitigare l’infiammazione polmonare, a ridurre la tempesta citochinica prodotta dai linfociti, una reazione di difesa dell’organismo che danneggia i polmoni». «La malattia oggi la trattiamo meglio di sei mesi fa ma i progressi sono comunque modesti», conclude Menichetti. Ma la ricerca va avanti, ogni giorno: proprio stamani all’ospedale di Ponte a Niccheri partirà una nuova sperimentazione su una particolare dialisi con cui i medici sperano di poter pulire il sangue, rimuovendo le citochine. La causa della «tempesta» finale.