Corriere Fiorentino

Il ristorator­e sfida i divieti «Io rimango aperto»

La protesta del titolare di un ristorante di via Baracca: «La mia è una scelta di libertà».

- Simone Dinelli Jacopo Storni

Ore 19.30. In via Baracca il ristorante Da Tito ha le insegne accese. Accese anche le luci del ristorante. Dentro ci sono cuochi e camerieri. Ci affacciamo, entriamo, chiediamo se è possibile sedersi e ordinare una pizza. Il titolare si dice pronto a prendere l’ordinazion­e. Tutto appare normale dentro al ristorante, come se fosse un giorno qualsiasi e come se non fossero passate da quasi due ore le 18, l’orario in cui scattano i divieti imposti dalle norme anti contagio fissate dal governo, per bar e ristoranti l’orario della chiusura da lunedì scorso. Mentre il cameriere fa strada indicando un tavolo, è naturale chiedere perché questo ristorante ha deciso di restare aperto in barba alle regole imposte.

A spiegarlo è Mohamed El Hawi, il titolare di questo e di altri due ristoranti a Firenze: «Il mio locale non ha mai chiuso in questi giorni all’ora di cena, da quando è entrato in vigore il nuovo Dpcm che impone la chiusura dei pubblici esercizi alle 18. So che rischio multe e ripercussi­oni, ma non mi importa: per me conta di più difendere un principio sacrosanto, che è il diritto al lavoro. In questi giorni abbiamo avuto pochissimi clienti, ma io resto aperto per principio». Principio che però va contro la legge: «Lo so, ma voglio lanciare un messaggio. Non consiglier­ei a tutti di fare come me, ma non ho paura delle conseguenz­e, perché la mia è disobbedie­nza civile». Ma rischia di aumentare i contagi. «Finché i ristoranti erano aperti in estate son state rispettate le regole e il rischio non c’è stato, io mantengo la sicurezza nel mio locale — ma la febbre all’ingresso non viene misurata — e non è colpa dei ristorator­i se i contagi son schizzati».

Nonostante i divieti, al ristorante Da Tito ci sono cinque clienti. C’è pure un negazionis­ta: «Il Coronaviru­s non esiste» dice facendo il segno del pollice alzato. In cucina si sfornano spaghetti e penne, mentre al banco dei pizzaioli si impasta. «Vogliamo lavorare — dicono i dipendenti — Non abbiamo più soldi per le nostre famiglie».

Le persone che passano fuori, guardano dal marciapied­e incuriosit­e. Qualcuno è tentato di entrare, come una signora insieme al marito: «Ma se veniamo a mangiare, rischiamo qualche sanzione anche noi»? El Hawi, 34 anni, è un fiorentino figlio di genitori egiziani, ha raccolto dal padre la passione per la ristorazio­ne ed è nel settore dal 2008. Negli ultimi 12 anni è diventato proprietar­io dei tre locali del gruppo «Tito–Firenze Finest Pizza» con sedi a Novoli, Careggi e Gavinana. Dopo l’ultimo decreto ha deciso di non rispettare le restrizion­i e ha realizzato un video dove fra un un mix di rabbia e ironia dice a chiare lettere: «Mi volete far rimanere a casa, ma a me non frega niente. Io rimango aperto. Venitemi a prendere, mandate l’esercito, mandate chi vi pare. Entreranno tre persone al giorno, ma non importa: non mi toglierete la dignità».

«In questi mesi — aggiunge l’imprendito­re — ho fatto tutto il possibile per rispettare i protocolli che ci sono stati imposti dal Governo. E ora non intendo fermarmi: lo devo anche e soprattutt­o ai circa 50 dipendenti che lavorano nei miei locali, alcuni dei quali devono ancora ricevere i soldi della cassa integrazio­ne di primavera». Da qua la decisione di rimanere aperto, anche a costo di rischiare sanzioni e a fronte di incassi ridotti: «In questi giorni — dice El Hawi — di gente in giro se ne vede pochissima e le strade sono deserte. Quello che mi interessa è lanciare un segnale pacifico e forte, sperando qualcuno mi segua. Ci sono ristorator­i che hanno paura, ma spero che cambino presto idea. Qua stanno calpestand­o i nostri diritti e la nostra libertà. E io questo proprio non posso accettarlo».

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Senza regole Mohamed El Hawi, titolare di tre pizzerie, ieri sera con due dei suoi clienti

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