Aleotti assolti, la Cassazione conferma
Cade definitivamente l’accusa di riciclaggio per i due fratelli titolari della Menarini
La Cassazione ha confermato la sentenza di assoluzione della Corte di Appello di Firenze per Lucia e Alberto Giovanni Aleotti dall’accusa di riciclaggio nell’ambito del processo Menarini. «Dopo moltissimi anni dall’inizio di questa dolorosa vicenda i giudici hanno riconosciuto definitivamente la loro estraneità — commenta il portavoce della famiglia — Ora potranno continuare dedicarsi serenamente alla crescita dell’azienda».
Cadono tutte le accuse per i fratelli Lucia e Alberto Giovanni Aleotti. Arriva a tarda sera la sentenza della Corte di Cassazione che assolve i proprietari della casa farmaceutica Menarini, accusati di aver partecipato al riciclaggio di un miliardo e 200 milioni di euro, un tesoro accumulato dal padre Sergio Alberto (scomparso nel 2014) attraverso un sistema di società fittizie per l’acquisto di principi attivi allo scopo di gonfiare il prezzo finale dei farmaci, grazie a una serie di false fatturazioni. «È la fine di una lunga giornata di tensione — commenta Sandro Traversi che insieme ai colleghi Franco Coppi, GianPaolo Sassi e Michela Vecchi difende i fratelli — Il pg Giulio Romano aveva sollecitato la conferma dell’assoluzione per Alberto Giovanni ma per Lucia aveva chiesto un nuovo processo d’appello. Alla fine, però, è prevalsa la giustizia».
Lucia Aleotti è in casa quando riceve la notizia. Preferisce il silenzio, per il momento. Ma parla l’azienda con un comunicato: «Dopo moltissimi anni dall’inizio di questa dolorosa vicenda i giudici hanno riconosciuto definitivamente la estraneità di Lucia e Alberto Giovanni Aleotti ai fatti contestati. I due fratelli, azionisti e membri del CdA del Gruppo Menarini, potranno continuare a dedicarsi serenamente alla crescita dell’azienda, presente oggi in 140 paesi con più di 17 mila dipendenti».
L’inchiesta partì nel 2010 quando un funzionario della banca del Liechtenstein rese pubblica una lista di migliaia di conti correnti. Tra i tanti, il più consistente ammontava a 476 milioni di euro e apparteneva ad Alberto Sergio Aleotti. Le indagini del Nas coordinate dai pm Luca Turco e Ettore Squillace Greco svelarono un sistema di società fittizie organizzato per l’acquisto dei principi attivi, allo scopo di gonfiare il prezzo finale dei farmaci, grazie a una serie di false fatturazioni. Con un danno per lo Stato di oltre 800 milioni di euro. Nel novembre 2010, scattò il maxi sequestro di 1 miliardo e 200 milioni di euro dei conti personali di Aleotti, ritenuto «l’ingiusto profitto» accumulato con operazioni volte a costituire fondi neri all’estero per frodare il fisco. La posta fu ridotta a 84 milioni dal Tribunale del Riesame, che recepì l’indicazione della Cassazione. Ma per fare pace col fisco Aleotti staccò un assegno da 330 milioni di euro. Le indagini non si fermarono e portarono in Svizzera. In un appartamento di Lugano fu scoperto l’archivio segreto di Alberto Sergio Aleotti. Documenti e fatture che, secondo la Procura fiorentina, tracciavano i movimenti di denaro attraverso 130 società controllate da Menarini e utilizzate fin dagli anni 80. L’archivio, per i pm, consentiva di ricostruire il percorso del denaro dalle «letterbox», società «scatole vuote» con sede in paesi stranieri a fiscalità privilegiata a società fiduciarie, tramite cui Aleotti avrebbe attuato lo scudo fiscale. Così scattò un nuovo sequestro da 1,1 miliardi di euro. In primo grado, nel 2016 il tribunale condannò Lucia a 10 anni e mezzo di reclusione per riciclaggio e corruzione e Giovanni a 7 anni e 6 mesi per riciclaggio. La Corte d’appello nel dicembre 2018, ribaltò quella sentenza, assolvendo dal riciclaggio connesso ai due scudi fiscali utilizzati dal patron Alberto Sergio Aleotti per far rientrare in Italia un miliardo e 92 milioni di euro nel 2003 e 100 milioni nel 2009. Una tesi condivisa anche dai giudici della Cassazione.
La famiglia «Ora i due fratelli potranno dedicarsi serenamente alla crescita dell’azienda»