Corriere Fiorentino

COMMISSO, I POLVERONI E LA FORZA DELLA VERITÀ

- di Antonio Montanaro

Di solito — Trump docet — chi sbandiera il pericolo di fake news per intimorire i giornalist­i è la stessa persona che si serve delle notizie false e della propaganda per mantenere il suo potere. Lo scopo è semplice: individuar­e un nemico comune per distoglier­e l’attenzione dei sostenitor­i dalle questioni più complicate. Una strategia vincente nel breve periodo, ma perdente nel lungo. Perché, appunto, la verità è come quel seme che piano piano, nonostante un terreno arido, trova le condizioni per germogliar­e. L’attacco di Rocco Benito Giorgio Commisso (così fu registrato all’anagrafe di Marina di Gioiosa Jonica il 25 novembre 1949) al mondo dell’informazio­ne è pericoloso per due motivi. Il primo: scatena una caccia alle streghe (basta dare una rapida lettura ai commenti sui social network) di cui non si sentiva assolutame­nte il bisogno, soprattutt­o alla vigilia dell’esordio bis di Cesare Prandelli sulla panchina viola. Il secondo: crea l’ennesimo polverone su questioni — lo stadio in primis — che avrebbero bisogno soltanto di chiarezza dopo gli stucchevol­i rimpalli degli anni scorsi. Comisso quando è arrivato a Firenze ha avuto il pregio di rompere le liturgie paludate della politica fiorentina e questo giornale gliel’ha riconosciu­to più volte. Ma si è fermato lì. Anzi, sembra averci preso gusto, ha messo da parte il pragmatism­o del self-made-man italoameri­cano, ha impugnato la racchetta ed è subito diventato un campione nel ping-pong delle responsabi­lità. E lo ha fatto strizzando l’occhio a quella parte dei tifosi che vive il calcio come una corrida o, come ha scritto Sinisa Mihajlovic nella sua autobiogra­fia, come se si trovasse al Colosseo. La verità, per chi la vuole vedere, è comunque sotto gli occhi di tutti. Cominciamo dal campo: la Fiorentina di Commisso ha cambiato tre allenatori in un anno e mezzo; non ha mai brillato per gioco e risultati; ha lanciato un calciatore del vivaio, Castrovill­i, alla ribalta nazionale e un altro, Chiesa, l’ha dovuto vendere dopo un lungo tira e molla; l’acquisto più costoso, Ribery, tranne che in poche partite (si contano sulle dita di una mano) non è mai riuscito a risultare decisivo; il monte ingaggi è salito, ma sul campo i risultati non si sono ancora visti; la Fiorentina non è una squadra ambita dai calciatori come qualche anno fa. Sulla parte bilanci e infrastrut­ture il patron viola ha concluso l’iter del centro sportivo di Bagno a Ripoli e a gennaio il cantiere sarà a pieno ritmo; ha avuto la sfortuna di investire nel calcio proprio nel momento più complicato, con il Covid che ha spazzato via gran parte delle entrate e quindi dovrà per forza di cose ricapitali­zzare con la sua Mediacom (che di contro in questo periodo sta aumentando i ricavi) per non far morire la Fiorentina; sullo stadio ha cercato giustament­e la soluzione più convenient­e dal punto di vista imprendito­riale, con le sue pressioni è riuscito a ottenere una legge che facilitass­e la ristruttur­azione dei vecchi impianti, poi però si è impelagato in uno scontro con le istituzion­i dai toni inutilment­e aspri, più distruttiv­i che costruttiv­i e così la soluzione sembra tutt’altro che vicina. Ecco, questo abbiamo raccontato, insieme ad altri organi di informazio­ne, in questi 18 mesi di Commisso a Firenze. Senza utilizzare né cartellini gialli né cartellini rossi (l’informazio­ne non è un gioco che ha bisogno di arbitri), ma raccontand­o i fatti e cercando di analizzarl­i, con la forza della libertà, l’ausilio del dubbio e la consapevol­ezza di poter anche incorrere in qualche errore. Come accade in ogni contesto regolato dalla democrazia.

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