Nella foresta di Sandokan
Cult A cento anni dalla morte del naturalista e botanico Odoardo Beccari Clichy ripubblica l’edizione integrale di un best seller della letteratura di viaggio, che ispirò anche Salgari
«La mattina del 19 giugno si sale molto per tempo sopra coperta e di già coll’apparir dell’aurora si scuoprono le masse montagnose di Borneo. E da prua imponente il picco isolato di Santubong, come fortezza domina l’ingresso del fiume di Sarawak».
Entra così nel vivo del racconto, uno dei più celebri libri di viaggi dell’Ottocento, un best seller mondiale che ha anche «aiutato» Emilio Salgari che non si mosse mai dalla sua Verona ad immaginare il mondo di Sandokan, facendoci viaggiare tra liane, tigri, Daiacchi, prahos e pirati.
Nelle foreste di Borneo, dello scienziato e grande botanico fiorentino Odoardo Beccari, è stato ristampato da Edizioni Clichy in occasione dei cento anni dalla morte di Beccari ed anche se mostra i segni del tempo — dal linguaggio alla soddisfazione con cui il naturalista abbatte orangutan in serie in nome della scienza, la disinvoltura con cui prova un veleno scagliando una piccola freccia contro un cane ed osservando per ore le sue sofferenze, fortunatamente a lieto fine data la piccola entità della ferita — è un libro da gustare, anche se non si è salgariani. È un viaggio nel tempo, in luoghi esotici, nella grande passione di Beccari per le piante e nel suo stupore per le mille forme e colori delle foreste che attraversa, con dettagliate descrizioni di insetti, animali come gli scoiattoli volanti o piccoli e variopinti pappagalli e si ha l’impressione di camminare con lui quando racconta dei trucchi per non perdersi e rifare il cammino all’indietro tra alberi e rotang, dei piccoli e grandi rischi corsi assieme agli uomini che lo accompagnano. Lo scienziato parla diffusamente del mosaico di popoli che trova sulla grande isola — splendide le pagine in cui definisce gli industriosi cinesi che fanno ricco il Sarawak anche con l’uso dell’oppio, i malesi del Borneo, gli arabi, i malesi di Malacca, la classe nobile del Brunei, gli originari delle Filippine, i giavanesi e così via — scrive del darwinismo, che lui critica a proposito delle teorie e delle forme in cui si sviluppava la selezione naturale, e sui nostri possibili progenipiante, tori, sugli effetti del clima.
Nel fiorentino c’è una chiara ammirazione per l’opera «civilizzatrice» dei bianchi e per il progresso che aumenta ad esempio l’estrazione dell’oro grazie «ad uno splendido macchinario, officine illuminate a luce elettrica, dirette da molti impiegati europei» anche se si usa il cianuro per purificare il metallo, la preoccupazione del collezionista per la difficoltà di raccolta e conservazione delle sue amate dei tanti fiori che sbocciano sotto la pioggia incessante, ma soprattutto c’è il racconto in presa diretta. Così Nelle foreste di Borneo. Viaggi e ricerche di un naturalista come recita il titolo per esteso, ci porta, come detto, tra i popoli della regione, con i bambini che si spaventano vedendo per la prima volta un bianco e la sua folta barba, nelle «abitudini piratesche» — ecco che si riaffaccia Sandokan con i suoi tigrotti — di alcune etnie e nei riti per placare gli spiriti disturbati da Beccari e dal suo equipaggio nelle loro esplorazioni, nella navigazione sui tanti fiumi della zona, tra ornamenti ed abiti di donne che si capisce l’esploratore ha ammirato per la loro bellezza.
Ed è stata proprio una donna, lady Margaret Brooke — «rani» di Sarawak e sposa di Charles, nipote di quel James Brooke, primo Rajah bianco di Sarawak che tutti i lettori di Sandokan conoscono benissimo per essere il più acerrimo nemico della Tigre della Malesia — che con la sua amicizia e costanza ha convinto Beccari a scrivere il libro, uscito solo nel 1902, molti anni dopo le sue esplorazioni iniziate nel 1865 e che lo fecero rimanere nel Borneo per tre anni, finendo per essere ospitato senza problemi nei villaggi dei tagliatori di teste — «I Punan e i Buketan sono cacciatori di teste, o per meglio dire considerano come loro preda naturale e lecita ogni essere umano col quale non hanno usali rapporti, non usando conservare la testa quale trofeo di guerra ma solo le proprietà dell’ucciso» — prima che la malaria lo costringesse a riprendere la strada di casa.
E mai consiglio fu più prezioso e fortunato. Odoardo Beccari, che dopo aver interrotto i suoi viaggi e diretto l’Orto Botanico di Firenze si era ritirato a vita privata, dedicandosi alle vigne ed al vino della sua tenuta a Bagno a Ripoli, dopo i duri scontri con il mondo accademico fiorentino che lo aveva isolato, tornò giovane e si gettò nella nuova avventura. Scrivendo un libro, illustrato con alcune stupende fotografie donate proprio da Lady Margaret, che è molto più che un resoconto scientifico piacevole da leggere: è un sogno diventato realtà.