Reddito di cittadinanza, un toscano su tre ha avuto un contratto
E uno su 5 lo ha ancora. I dati di Anpal: va meglio nelle zone periferiche, Grosseto prima provincia
Uno su tre ce l’ha fatta, almeno per un po’. Sono i toscani che hanno preso il reddito di cittadinanza, che al Governo si vorrebbe rivedere, e che nel 33 per cento dei casi sono rientrati almeno una volta nel mondo del lavoro da quando hanno cominciato a percepire il sussidio di Stato. Un dato che cresce nelle zone periferiche della Toscana e cala invece sull’asse centrale più produttivo. Va meglio di quanto si potesse pensare, anche se non ci sono certezze sul fatto che sia merito dei «navigator» e del loro Patto per il lavoro, il progetto che viene elaborato per i destinatari del reddito di cittadinanza, e come ha ricordato ieri Dario Di Vico sul Corriere della Sera mancano molti dati per legare lo strumento del Reddito, i navigator e i posti di lavoro ottenuti.
A fornire la fotografia, aggiornata a ottobre, sono i dati di Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Sui 48.685 toscani che hanno ricevuto il reddito di cittadinanza, da quando è stato introdotto (all’inizio del 2019), 16.223 di quelli che sono arrivati alla definizione del Patto per il lavoro hanno avuto un contratto nello stesso periodo. Dato che molti dei contratti ormai sono precari, è probabile che molte di queste persone siano entrate ed uscite dal mercato del lavoro. Attualmente, il 19%, quasi uno su cinque, ha un contratto attivo.
Il tasso più alto di persone che hanno avuto almeno un contratto è a Grosseto (44%), la provincia con più ex percettori di reddito di cittadinanza con un contratto attivo ad ottobre è a Siena (26,3%). Solo Lucca, Pistoia, Firenze e Prato sono sotto la media del 33% regionale per almeno un contratto in tutto il periodo. Ad ottobre era Pistoia la provincia con meno contrattualizzati (16,1%).
«Se il M5S non si fosse battuto per il reddito di cittadinanza — rivendica Francesco Berti, deputato grillino, commentando i dati — le conseguenze sul tessuto sociale della crisi economica provocata dalla pandemia di Covid sarebbero state ancora più esplosive». Ma lo strumento è quantomeno ancora imperfetto: le cronache sono piene di beneficiari che lavorano al nero o hanno altri redditi, che sono riusciti ad aggirare i controlli, persino criminali: «Ora
— ammette Berti — abbiamo due priorità: stringere il cerchio attorno a chi fa il furbo e fare in modo che le risorse vadano solo a chi ha diritto». In questo senso c’è il via libera dal Garante della privacy all’Inps per incrociare le banche dati con le amministrazioni locali per rendere più efficaci i controlli. «La seconda priorità è il reinserimento di queste persone nel mondo del lavoro e i dati Anpal relativi ad ottobre sono incoraggianti» conclude Berti. Anche l’assessora regionale a Formazione, Istruzione, Università e Impiego Alessandra Nardini valuta positivamente i dati: «La platea di beneficiari del reddito di cittadinanza è per la maggior parte composta da cittadine e cittadini non immediatamente collocabili al lavoro: disoccupati di lunga durata, in gran parte scarsamente scolarizzati e formati (quasi il 20% possiede solo la licenza elementare) — spiega — Aver raggiunto il 33% di inserimenti lavorativi, visto la scarsa occupabilità di partenza, è un buon risultato frutto del lavoro importante dei servizi pubblici per l’impiego».
Ma Nardini rivendica anche il successo del Piano Integrato per l’occupazione della Regione, «rivolto ad un target molto simile di disoccupati in condizioni di fragilità e vulnerabilità, in cui il sostegno economico era associato a percorsi di formazione brevi e mirati, orientamento, accompagnamento e incentivi all’occupazione: ha ottenuto un risultato occupazionale pari ad oltre il 60% di inserimenti lavorativi».