Corriere Fiorentino

I DESIDERI IN TEMPO DI GUERRA

- Di Eugenio Tassini

C’è una politica per i tempi di pace e una politica per quelli di guerra. Nella prima si pensa al benessere e allo sviluppo di un paese, ci si può prendere tutto il tempo necessario per mettere a punto piani e strategie, si possono accarezzar­e categorie economiche e anche rincorrere elettori. Nella seconda è prioritari­a la battaglia che si è intrapresa, è un sistema binario, o si vince o si perde. Tutto il resto non conta. Si potrebbe citare Winston Churchill («Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore») o Garibaldi («Offro fame, sete, marce forzate, battaglie e morte»), Charles De Gaulle («La Francia non è sola! Non è sola! Non è sola!») e tanti altri leader. Ora siamo in guerra, questo virus è come una guerra. Migliaia di morti, la vita sospesa, le libertà in gran parte revocate, l’economia delle nostre città distrutta, i posti di lavoro perduti, i treni e gli aerei in gran parte cancellati, perfino le messe della festa cristiana più importante in discussion­e. Questo è uno scenario di guerra. Invece di parlarci con verità e sincerità, di parlarci come adulti, come cittadini, i nostri politici continuano a solleticar­e i nostri piaceri perduti, come fossimo bambini, per farci credere che sono dalla nostra parte, dalla parte dei desideri: lo shopping, la neve, la vacanza, le feste, gli aperitivi, i pranzi e le cene al ristorante, i brindisi, i regali. E questa estate erano le discoteche, il mare, le piscine, le spiagge, gli ombrelloni.

Mentre ogni giorno c’è chi perde nonni, genitori, mariti e mogli, figli — sì, anche figli — lavoro, lezioni a scuola, piccole e grandi attività, investimen­ti, speranze. Ecco, servirebbe un governator­e che parlasse ai toscani, ai fiorentini con la serietà e la severità dovuta a tutte le persone che sono morte e che moriranno ancora, a chi è in difficoltà economica, a chi è chiuso in casa rigorosame­nte da mesi, a chi non ha derogato da una prescrizio­ne, a chi in ospedale combatte una battaglia ancora impari, come i francesi contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale. Servirebbe un governator­e che ci dicesse quello che già sappiamo, che non ha nulla da offrire se non sangue fatica lacrime e sudore, ma questa è la nostra battaglia, non l’abbiamo scelta noi, non si sceglie quasi mai il nemico. Ma ce l’abbiamo un nemico, e non possiamo neanche trattare una tregua per le feste come nelle trincee della prima guerra mondiale. Non si può trattare con un virus. Però possiamo farcela, possiamo salvare molte persone, possiamo combattere insieme. E il vaccino è vicino, è la nostra grande arma. Pensiamo a domani, quando avremo vinto. Non a oggi, rischiando di perdere tutto. Anche la vita.

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