Il nodo è Moretti: giusto condannarlo da Ad della holding?
«Va riesaminata la posizione di due manager di Rfi assolti in Appello, come da ricorso del Pg di Firenze, e questo rende necessario rivalutare la posizione dell’ex certificatore della sicurezza di Rfi e quella dell’allora Ad di Rfi e di Fs, Mauro Moretti. Serve un nuovo esame delle condotte tenute nel lungo periodo di tempo trascorso tra il momento della cessazione dalle cariche sociali in Rete Ferroviaria Italiana, con il subentro di altri responsabili, e il momento del disastro». A spiegare la richiesta del Pg di un nuovo processo d’Appello per Moretti, interviene lo stesso procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Il nodo del processo per la strage di Viareggio arrivato in Cassazione è proprio la responsabilità di Mauro Moretti, condannato in Appello a 7 anni per disastro ferroviario e omicidio colposo plurimo. Nel gennaio 2017 al processo di primo grado Moretti era stato condannato non in qualità di ex amministratore delegato di tutto il gruppo Ferrovie ma solo come Ad di Rfi, la divisione che si occupa delle infrastrutture, carica che ricoprì dal 2001 al 2006. I giudici, pur riconoscendo le responsabilità di Rfi e di Trenitalia, hanno attribuito le pene più alte ai responsabili di Gatx Rail, l’azienda che aveva affittato il carro cisterna alle Fs, e a quelli dell’officina Jungenthal che aveva revisionato l’assile che ha ceduto senza trovare la crepa causata dalla ruggine. I giudici della Corte d’Appello di Firenze nel giugno 2019 sono invece andati oltre. E hanno condannato Moretti anche come Ad di Ferrovie, l’azienda madre, perché responsabile della carenza degli investimenti per la sicurezza della rete ferroviaria. Un mese fa l’associazione delle società per azioni, l’Assonime, aveva puntato il dito contro quella sentenza: «Bisogna evitare l’affermazione di forme di responsabilità oggettiva per il solo fatto di ricoprire un ruolo apicale all’interno del gruppo». La condanna di Moretti costituirebbe un precedente: gli amministratori delle holding sarebbero così responsabili di eventuali reati commessi anche all’interno delle società controllate, e non solo nella società madre da loro presieduta.