Barone: faremo lo stadio solo se ci permettono di costruirlo nuovo
L’Unesco non chiude sul Franchi «Demolizione no, cambiamenti forse»
La campagna internazionale con l’abbattimento e ricostruzione del Franchi, a cui punta la Fiorentina, non smuove la società viola: «Noi lo stadio siamo disposti a farlo se ci permettono di farlo nuovo, altrimenti può intervenire il Comune di Firenze. È il loro stadio, possono farlo anche loro, noi continuiamo a pagare l’affitto». Ma dagli Usa parla l’Icomos, il braccio scientifico dell’Unesco che ha mandato un «alert», un allarme, sul Franchi. «Non diciamo che i cambiamenti non siano possibili ma siamo contrari alla demolizione, perché in quel caso il Franchi è perso per sempre» dice il presidente Gunny Harboe.
Gli archistar, i 2.997 firmatari della petizione su Change.org, gli appelli dall’Italia e dall’estero di associazioni ambientaliste non smuovono la Fiorentina. «Leggo tanti commenti dall’estero di persone che scrivono del Franchi — ha detto ieri il direttore generale viola Joe Barone al Tgr Toscana — Sono straconvinto che si tratta di gente che non è mai stata nel nostro stadio. La cosa importante è la sicurezza dei nostri tifosi. Come ha sempre detto Commisso noi lo stadio siamo disposti a farlo se ci permettono di farlo nuovo, altrimenti può intervenire il Comune di Firenze. È il loro stadio, possono farlo anche loro, noi continuiamo a pagare l’affitto».
Nessuna apertura, e la chiara indicazione che chi paga vuole decidere, come ha sempre detto Rocco Commisso. Ma se si ripercorre indietro la vicenda, si capisce che ormai si è scatenata la tempesta perfetta. Basta mettere in fila gli eventi: la chiusura del soprintendente Andrea Pessina al primo progetto di Marco Casamonti, che prevedeva «solo» l’abbattimento delle curve. Lo scontro tra Comuni per l’alternativa a Campi Bisenzio (che ancora c’è). La rincorsa a fare una legge più permissiva possibile per intervenire sugli stadi (ora si parla pure di usarla al Flaminio a Roma). E alla fine, il testo dell’emendamento 55bis generato era talmente tranchant, talmente l0ntano dalla normativa di tutela dei beni culturali e vincolati, che è stato l’arma comunicativa migliore per chi era contrario a buttare giù il Franchi (e sarà l’arma perfetta per i ricorsi al Tar e alla Corte Costituzionale). Perché l’alternativa non era più tra un restyling o l’abbandono della struttura: era tra le ruspe (sostituzione edilizia, cioè demolizione e ricostruzione) e il nulla. «Non è il Colosseo», aveva detto Commisso per giustificare le ruspe.
Per chi studia architettura, è un simbolo di una generazione. Ed è così che la campagna partita dalla Nervi Foundation ha coinvolto Fai, Italia Nostra e altri. Ma anche l’ordine degli architetti (nazionale e fiorentino, che chiedono concorsi internazionali in casi simili) ed è arrivata all’Icomos, consiglio scientifico dell’Unesco.
«Non diciamo che i cambiamenti non siano possibili ma siamo contrari alla demolizione, perché in quel caso il Franchi è perso per sempre» spiega da Chicago Gunny Harboe, il presidente di Icomos Isc20C, il comitato che si occupa di architettura moderna. «È una proprietà pubblica, un simbolo della storia dell’architettura». Ma se non si adegua agli standard moderni, rischia di diventare un pezzo di cemento armato nel mezzo di un quartiere: «Forse ci sono soluzioni alternative, sia per intervenire e rinnovare che per il futuro utilizzo — risponde Harboe — O forse i nuovi propietari vogliono troppo rispetto a quello che puoi ottenere da quello stadio».
Anche se resta il rischio che non succeda nulla o si debba aspettare chissà quando per avere le risorse pubbliche per il nuovo Franchi.