«Sono storia e fede, venderle è un dolore Ma per fare il bene non c’è alternativa»
Don Landini: così paghiamo i sacerdoti
❞ Alcune sono fatiscenti e in disuso, l’unica possibilità, se non c’è l’aiuto delle istituzioni, è quella di cederle a privati
La messa è finita? Dimezzano preti e fedeli e le chiese finiscono nelle bacheche delle vendite. In Francia ci sono agenzie immobiliari specializzate nella loro vendita. Scandalizzati, i cattolici tradizionalisti chiamano «becchini» coloro che vendono le chiese, luoghi sacri e — per molti — intangibili. E da noi? Nella diocesi di Firenze sono circa 170 le chiese in vendita, racconta don Giuliano Landini, parroco di Settignano, dopo 26 anni trascorsi a Vicchio, e presidente dell’Istituto per il sostentamento del clero (Idsc). Da lui dipende la gestione dei beni ecclesiastici che appartengono all’Istituto: immobili, terreni e chiese, appunto.
Cosa prova a vendere una chiesa?
«Dolore, molto dolore. Il valore di una chiesa è incalcolabile proprio perché dovuto alla storia e alla fede che vi è stata praticata. Vendere una chiesa è l’estrema ratio nel tentativo di perpetuare il bene».
Non ci sono alternative?
«Si tratta per lo più di ex parrocchie che, non potendosi mettere a reddito, l’Istituto deve trovare una via d’uscita tra il riconsegnarle alla comunità o alienarle. Alcune di esse sono in disuso e fatiscenti ed inevitabilmente sono irrecuperabili, per cui l’unica possibilità, a meno che non si trovino motivazioni e aiuti delle istituzioni e dalle popolazioni locali, è quella della vendita. Venderle ci costa molto perché esprimono una storia di fede, ma non abbiamo alternative».
Quali sono i beni che dipendono dall’Istituto di sostentamento del clero?
«Si tratta di quei beni che nel 1985, in osservanza del Concordato, sono stati trasferiti agli Istituti, creati appositamente per tale operazione. fra questi vi sono immobili, terreni e chiese disseminate in tutto il territorio della nostra diocesi su 32 Comuni».
Finalità?
«Gestire il patrimonio e realizzare la redditività che, per la legge concordataria, ha lo scopo unico e specifico del sostentamento dei sacerdoti. È difficile farlo capire alle persone che confondono la nostra attività con altri organismi ecclesiali, ma noi anche per la legge italiana siamo obbligati a fare solo quello. Non possiamo svolgere attività che abbiano finalità pastorali e caritative».
Qual è il valore economico di questi beni?
«È difficile stimare un valore reale; se pensiamo a quello materiale ed economico possiamo parlare di diverse decine di milioni, ma il valore ecclesiale è ancora più grande in quanto si tratta di una eredità storica della Chiesa, il valore “invisibile” sta lì, ma, se torniamo al valore economico, è anche più basso, perché spesso questi immobili sono localizzati in luoghi disabitati e molto lontani dai centri abitati».
I ricavi?
«I ricavi sono variabili, derivano da locazioni e affitti; ogni anno destiniamo al sostentamento del clero circa un milione di euro. Finanziariamente siamo però costretti ad alienare il patrimonio per poter effettuare le ristrutturazioni
❞ L’Istituto di sostentamento del clero paga circa 1,4 milioni di Imu sugli immobili che negli anni le parrocchie ci hanno dato
necessarie, e nonostante questo sforzo riusciamo a coprire solo una parte del fabbisogno. Purtroppo i beni sono in cattive condizioni. Quando nel 1985 è nato l’Istituto le parrocchie vi hanno conferito gli immobili così com’erano. E li mettiamo a reddito ma non è facile. Su tutti questi paghiamo l’Imu e altre imposte per circa un milione e 400 mila euro».
Avete pensato di affidare questi beni ad un ente o società esterni alla diocesi?
«Mi rendo conto che si tratta di una responsabilità rilevante, ma l’affidarlo a terzi (ci sono Istituti che hanno fatto questa scelta) costituirebbe un taglio netto con il passato; inoltre a Firenze è sempre stato scelto di rimanere sul territorio come presenza della Chiesa anche nei confronti della popolazione».
Questi beni servono a pagare il clero. A quanto ammonta lo stipendio di preti e vescovi?
«Il sistema è abbastanza chiaro. La remunerazione dei sacerdoti viene calcolata in base ad un punteggio, che varia con l’età e con gli incarichi assegnati dal vescovo diocesano. Nella media ogni sacerdote percepisce ogni mese circa novecento-mille euro; un vescovo circa milletrecento-millequattrocento euro. Non c’è tredicesima. Gli Istituti a livello nazionale coprono circa il 10% (quello di Firenze circa il 23%), mentre il resto proviene dalle offerte e dall’8 per mille. Proventi anch’essi in diminuzione».