Dedicato ai miei 118 laureati
Incontri Calamandrei, Dallapiccola, Bonsanti, Gadda, Montale: Giuseppe Nicoletti racconta il libro «Attraverso il Novecento», omaggio a Firenze e ai suoi allievi della Facoltà di Lettere
Cambiamenti «Fino agli anni della seconda guerra questa città era una vera capitale della cultura»
È un libro che riflette molto dello stile dell’uomo e dell’acutezza del maestro quello cui Giuseppe Nicoletti, che a Firenze ha percorso l’intero corso di studi, da quando, ragazzo, frequentava il liceo Michelangelo ai conclusivi incarichi assolti nella Facoltà di Lettere, dove ha insegnato quale ordinario di Letteratura italiana fino al 1994. In Attraverso il Novecento (pp. 217, € 20, Salerno) egli prosegue l’esplorazione di ambienti e gruppi di artisti e intellettuali accomunati da fitti scambi di idee e propositi; e spesso l’ambiente dei fecondi incontri è Firenze.
Per un verso il volume è un omaggio alla città amatissima, per l’altro, quasi rovesciando una rituale consuetudine accademica, è un dono agli allievi, che sotto la guida di Nicoletti, hanno seguito il proprio curriculum. In premessa ne sono elencati i nomi, come se popolassero un’ideale aula che ha resistito al tempo: «A Lettere ho insegnato — precisa Nicoletti — per quasi quarantacinque anni e facendo l’elenco dei miei laureati mi son reso conto del loro numero: centodiciotto, li ricordo uno ad uno e nella dedica riporto il nome di tutti». Parecchi hanno continuato ad occuparsi di ricerca, sono sparsi per il mondo, soltanto due o tre sono rimasti in Italia. Nicoletti — che è del 1945 — da un po’ di tempo si gode la pensione, ma non per questo si è messo a riposo. Tra i testi riuniti son toccate questioni che oggi hanno un risalto attuale: la sociabilità, ad esempio, dimensione indispensabile per produrre cultura, suscitando relazioni tra diverse discipline e invitando personalità attive in ambiti di studio differenti eppur contigui a confrontare metodi e soluzioni. Così si formava una cultura nella quale non si giustapponevano esclusivi specialismi. «Certo — ammette Nicoletti — è questo il filo rosso che lega le parti del libro. Parlavi di arti e discipline diverse dalla letteratura ma spinte a venire con essa a patti: è il caso di Luigi Dallapiccola, di Italo Cremona, di Piero Calamandrei, che invade il territorio della creazione letteraria e a mio parere da considerare uno scrittore degno di essere incluso nelle nostre storie della letteratura». È curioso, infatti, che, quando si discorre di letteratura si finisca per incoronare solo gli autori di romanzi e poesie, quasi che fossero da ritenere secondari o marginali spazi quali il giornalismo, la memorialistica, le costruzioni giuridiche, gli scavi scientifici: «È il caso di Cremona — conferma l’interlocutore — che pressoché occasionalmente lambisce il coté della creazione letteraria, mentre quello di Dallapiccola è il caso, diverso, di un musicista che utilizza la letteratura, da Dante, letto per tutta la vita, a Proust, dal quale, trasse una lezione decisiva per la sua opera di compositore». Anche di altri che compaiono nelle tue pagine: Pietro Pancrazi, Umberto Morra, quello che chiami il Parnaso di Cortona, o Alessandro Bonsanti, che spese gran parte della sua esistenza, lui che pure è titolare di un’impresa narrativa di mole inusitata, nel promuove sociabilità fra scrittori e intellettuali, nell’animare riviste, o alla direzione pluridecennale del Gabinetto Vieusseux. Sarebbe fuorviante rifugiarsi nell’idealizzazione del tempo che fu, ma oggi non ti pare si assista ad un impoverimento, al trionfo della grancassa mediatica che prende voracemente il sopravvento sulla difficile autonomia dell’autore? «Bisogna evitare — frena Nicoletti — il pericolo di guardare all’indietro con l’occhio schifato sul presente, ma se penso alla mia Facoltà di Lettere, a metà degli anni Sessanta quando mi ci iscrissi, e ai prof. che allora vi insegnavano, a Lanfranco Caretti, a Contini, Cantimori, Sestan, Longhi e potrei elencarne molti altri, mi vien da rimpiangere, ma è la città stessa che ha subito trasformazioni profonde e non solo nella sovrastruttura delle culture umanistiche».
Firenze fino agli anni della seconda guerra era una città che richiamava non poche menti, era una capitale: i due scrittori italiani più significativi del Novecento moderno, Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda, hanno operato qui almeno per un decennio. «Quando passo — m’interrompe il docente amico con un malcelato moto di nostalgia — da via Repetti non posso far a meno di gettare uno sguardo al primo piano del palazzo dove il Gran Lombardo, l’ingegner Gadda, ha composto pagine di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Anziché deprecare la grancassa mediatica mi rattristo, perché ha investito marginalmente la Toscana e la nostra città, restata in gran parte a bearsi della rendita di posizione turistica. La tua provocazione chiama, però, in causa il destino della parola, la funzione della poesia, la stessa sopravvivenza della posizione d’ascolto del poeta all’interno del caotico frastuono di una società pluriconnessa: problemi enormi per le nuove generazioni». Giuseppe Nicoletti naviga sereno nella malinconica stagione dei consuntivi. Necessari per intravedere per definire l’agenda del futuro.