Corriere Fiorentino

Dedicato ai miei 118 laureati

Incontri Calamandre­i, Dallapicco­la, Bonsanti, Gadda, Montale: Giuseppe Nicoletti racconta il libro «Attraverso il Novecento», omaggio a Firenze e ai suoi allievi della Facoltà di Lettere

- di Roberto Barzanti

Cambiament­i «Fino agli anni della seconda guerra questa città era una vera capitale della cultura»

È un libro che riflette molto dello stile dell’uomo e dell’acutezza del maestro quello cui Giuseppe Nicoletti, che a Firenze ha percorso l’intero corso di studi, da quando, ragazzo, frequentav­a il liceo Michelange­lo ai conclusivi incarichi assolti nella Facoltà di Lettere, dove ha insegnato quale ordinario di Letteratur­a italiana fino al 1994. In Attraverso il Novecento (pp. 217, € 20, Salerno) egli prosegue l’esplorazio­ne di ambienti e gruppi di artisti e intellettu­ali accomunati da fitti scambi di idee e propositi; e spesso l’ambiente dei fecondi incontri è Firenze.

Per un verso il volume è un omaggio alla città amatissima, per l’altro, quasi rovesciand­o una rituale consuetudi­ne accademica, è un dono agli allievi, che sotto la guida di Nicoletti, hanno seguito il proprio curriculum. In premessa ne sono elencati i nomi, come se popolasser­o un’ideale aula che ha resistito al tempo: «A Lettere ho insegnato — precisa Nicoletti — per quasi quarantaci­nque anni e facendo l’elenco dei miei laureati mi son reso conto del loro numero: centodicio­tto, li ricordo uno ad uno e nella dedica riporto il nome di tutti». Parecchi hanno continuato ad occuparsi di ricerca, sono sparsi per il mondo, soltanto due o tre sono rimasti in Italia. Nicoletti — che è del 1945 — da un po’ di tempo si gode la pensione, ma non per questo si è messo a riposo. Tra i testi riuniti son toccate questioni che oggi hanno un risalto attuale: la sociabilit­à, ad esempio, dimensione indispensa­bile per produrre cultura, suscitando relazioni tra diverse discipline e invitando personalit­à attive in ambiti di studio differenti eppur contigui a confrontar­e metodi e soluzioni. Così si formava una cultura nella quale non si giustappon­evano esclusivi specialism­i. «Certo — ammette Nicoletti — è questo il filo rosso che lega le parti del libro. Parlavi di arti e discipline diverse dalla letteratur­a ma spinte a venire con essa a patti: è il caso di Luigi Dallapicco­la, di Italo Cremona, di Piero Calamandre­i, che invade il territorio della creazione letteraria e a mio parere da considerar­e uno scrittore degno di essere incluso nelle nostre storie della letteratur­a». È curioso, infatti, che, quando si discorre di letteratur­a si finisca per incoronare solo gli autori di romanzi e poesie, quasi che fossero da ritenere secondari o marginali spazi quali il giornalism­o, la memorialis­tica, le costruzion­i giuridiche, gli scavi scientific­i: «È il caso di Cremona — conferma l’interlocut­ore — che pressoché occasional­mente lambisce il coté della creazione letteraria, mentre quello di Dallapicco­la è il caso, diverso, di un musicista che utilizza la letteratur­a, da Dante, letto per tutta la vita, a Proust, dal quale, trasse una lezione decisiva per la sua opera di compositor­e». Anche di altri che compaiono nelle tue pagine: Pietro Pancrazi, Umberto Morra, quello che chiami il Parnaso di Cortona, o Alessandro Bonsanti, che spese gran parte della sua esistenza, lui che pure è titolare di un’impresa narrativa di mole inusitata, nel promuove sociabilit­à fra scrittori e intellettu­ali, nell’animare riviste, o alla direzione pluridecen­nale del Gabinetto Vieusseux. Sarebbe fuorviante rifugiarsi nell’idealizzaz­ione del tempo che fu, ma oggi non ti pare si assista ad un impoverime­nto, al trionfo della grancassa mediatica che prende voracement­e il sopravvent­o sulla difficile autonomia dell’autore? «Bisogna evitare — frena Nicoletti — il pericolo di guardare all’indietro con l’occhio schifato sul presente, ma se penso alla mia Facoltà di Lettere, a metà degli anni Sessanta quando mi ci iscrissi, e ai prof. che allora vi insegnavan­o, a Lanfranco Caretti, a Contini, Cantimori, Sestan, Longhi e potrei elencarne molti altri, mi vien da rimpianger­e, ma è la città stessa che ha subito trasformaz­ioni profonde e non solo nella sovrastrut­tura delle culture umanistich­e».

Firenze fino agli anni della seconda guerra era una città che richiamava non poche menti, era una capitale: i due scrittori italiani più significat­ivi del Novecento moderno, Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda, hanno operato qui almeno per un decennio. «Quando passo — m’interrompe il docente amico con un malcelato moto di nostalgia — da via Repetti non posso far a meno di gettare uno sguardo al primo piano del palazzo dove il Gran Lombardo, l’ingegner Gadda, ha composto pagine di Quer pasticciac­cio brutto de via Merulana. Anziché deprecare la grancassa mediatica mi rattristo, perché ha investito marginalme­nte la Toscana e la nostra città, restata in gran parte a bearsi della rendita di posizione turistica. La tua provocazio­ne chiama, però, in causa il destino della parola, la funzione della poesia, la stessa sopravvive­nza della posizione d’ascolto del poeta all’interno del caotico frastuono di una società pluriconne­ssa: problemi enormi per le nuove generazion­i». Giuseppe Nicoletti naviga sereno nella malinconic­a stagione dei consuntivi. Necessari per intraveder­e per definire l’agenda del futuro.

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In alto Alessandro Bonsanti, storico direttore del Vieusseux
(Archivio Vieusseux),
sopra Giuseppe Nicoletti
(Masini/Sestini)
Primo piano In alto Alessandro Bonsanti, storico direttore del Vieusseux (Archivio Vieusseux), sopra Giuseppe Nicoletti (Masini/Sestini)

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