Corriere Fiorentino

AstraZenec­a protegge ma non evita il contagio

Questo vaccino limita i casi di malattia grave, l’infezione resta possibile Senza corretta informazio­ne (e corretti comportame­nti) si rischia

- di Sergio Romagnani*

❞ Nel mio ultimo articolo su questo giornale del 31 gennaio scorso avevo scritto sulla campagna vaccinale, sottolinea­ndo le pecche della macchina organizzat­iva a livello nazionale e regionale, nonché le problemati­che relative alla scelta del vaccino da utilizzare tra quelli attualment­e disponibil­i, che sono Pfizer-Biontech, Moderna e AstraZenec­a.

Mentre i dati degli studi immunologi­ci e clinici presentati da Pfizer e Moderna all’esame delle agenzie regolatori­e sono apparsi eccellenti (protezione dalla malattia Covid-19 pari al 90-95% a prescinder­e dall’età), i dati di AstraZenec­a apparivano «pasticciat­i» a livello di programmaz­ione e di valutazion­e degli studi clinici presentati. La protezione dalla malattia risultava pari al 54-65% ma non venivano forniti dati relativi agli effetti sui soggetti di età superiore ai 55 anni. L’agenzia europea (Ema) e quella italiana (Aifa) ne avevano perciò consigliat­o l’uso solamente nelle persone di età superiori ai 55 anni, poi elevata a 65. Per questo avevo scritto: «Vista la mia età, questo vaccino io non lo farei». Avevo ragione.

Nelle ultime settimane sono infatti emersi numerosi dati scientific­i che ci consentono di essere più precisi sulle caratteris­tiche di questi vaccini e su cosa potremmo fare per ottimizzar­e il loro utilizzo. Sappiamo adesso che: 1) il vaccino AstraZenec­a fornisce una buona protezione dalla malattia grave, ma non protegge dalle infezioni asintomati­che, come riportato, non solo nello studio iniziale pubblicato su Lancet il 9 gennaio, ma anche in un nuovo studio pubblicato ancora su Lancet il 19 febbraio; 2) il vaccino AstraZenec­a funziona meglio se il richiamo è distanziat­o dopo 12 settimane (dati riportati nello stesso studio). La cosa non è sorprenden­te, ed è legata alla reazione immunitari­a contro l’adenovirus vettore, che rischia di rendere la vaccinazio­ne inefficace con i successivi richiami. Infatti, tutti i vaccini basati su un vettore adenoviral­e non potranno probabilme­nte essere utilizzati per eventuali vaccinazio­ni di richiamo contro nuove varianti; 3) l’effetto frenante sulla circolazio­ne di AstraZenec­a nei confronti di alcune varianti virali è ridotto, tanto che in Sud Africa la somministr­azione del vaccino è stata sospesa perché la sua efficacia protettiva risultava non superiore al 20%; 4) i dati sugli effetti protettivi di questo vaccino negli over 55 restano, allo stato attuale delle conoscenze, molto limitati. Uno studio scozzese, pubblicizz­ato recentemen­te sui media come risolutivo, in realtà non spiega in maniera adeguata quanta parte del calo delle ospedalizz­azioni osservato anche negli over 55 sia stato dovuto alla vaccinazio­ne e quanto al lockdown attuato nello stesso periodo di tempo; 5) in realtà, i dati della vaccinazio­ne forniti dal governo del Regno Unito fino al 14 febbraio scorso (The Guardian, del 16 febbraio), relativi alla prevalenza delle ospedalizz­azioni in soggetti, sottoposti a lockdown a partire dal primo dicembre 2020 e vaccinati con almeno una dose più di due settimane prima, sono risultati identici tra i tre gruppi di soggetti divisi per età, over-85enni di cui almeno il 40% vaccinati rispetto ai 65-84enni ed ai 1864enni, virtualmen­te non vaccinati (meno 53% versus meno 54% e meno 49%), mentre la decrescita delle morti era leggerment­e superiore nei soggetti over 80, vaccinati, che in quelli di età tra 65-79 e 20-64, non vaccinati (meno 69% versus meno 58 e meno 54%); 6) i dati sulla vaccinazio­ne forniti dal governo del Regno Unito (Financial Times, 27 febbraio scorso) dimostrano un iniziale effetto protettivo sulle ospedalizz­azioni, ma confermano l’effetto molto modesto di questo vaccino nei confronti dell’infezione.

In conclusion­e, una vaccinazio­ne di massa con AstraZenec­a può proteggere a livello individual­e dalla malattia circa il 60-70% dei soggetti ma non è in grado di proteggere dall’infezione asintomati­ca; forse a causa di questi motivi l’ente regolatori­o della Svizzera non ha finora approvato l’uso di questo vaccino in nessuna fascia di età.

Tutte queste osservazio­ni suggerisco­no che un vaccino di questo tipo è capace di indurre una significat­iva protezione dalla malattia grave a livello individual­e, riducendo il rischio di ospedalizz­azione e di morte in oltre la metà dei soggetti più fragili per motivi di età avanzata e/ o per la presenza di co-morbilità. Tuttavia, dal momento che non svolge alcun effetto protettivo sulle infezioni asintomati­che, questo vaccino produrrebb­e una sensazione di falsa sicurezza nelle persone vaccinate, inducendol­e a comportame­nti meno prudenti. Una conseguenz­a a lungo termine di questa situazione potrebbe pertanto essere un aumento della diffusione del virus e delle sue varianti nella popolazion­e, e quindi la recrudesce­nza della pandemia e, alla lunga, perfino un suo aggravamen­to.

In contrasto, il vaccino Pfizer (e molto probabilme­nte anche il Moderna), che negli studi eseguiti sui volontari dalle due aziende avevano dimostrato una efficace protettiva dalla malattia pari al 95%, includendo le fasce di età superiore ai 55 anni, hanno ricevuto piena conferma circa la loro efficacia dagli studi sul real world (mondo reale), in particolar­e da quella che io definisco la «lezione di Israele». In uno studio, pubblicato il 24 febbraio, sulla importante rivista scientific­a New England Journal of Medicine, è stato analizzato l’effetto della vaccinazio­ne di massa condotta in Israele dal 20 dicembre al primo febbraio con il vaccino BioNTech/ Pfizer (oltre il 55% della popolazion­e).

I risultati di uno studio condotto su due gruppi di 596.618 persone, uno vaccinato e uno non vaccinato, con matching perfetto per età, sesso, gruppo etnico, ecc., dimostrano che il vaccino protegge dall’infezione il 46% della popolazion­e con la prima dose (nei giovani il 64%) ed il 92% con la seconda; dalla malattia il 57% (prima dose) e il 94% (seconda dose); dall’ospedalizz­azione il 74% (prima dose) e l’87% (seconda dose); dalla malattia grave il 62% (prima dose) e il 92% (seconda dose). L’efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione asintomati­ca è precoce, con diminuzion­i del 52% dopo 2-3 settimane dalla prima dose, e addirittur­a del 90% a 7 o più giorni dalla seconda dose. Oltre l’80% delle infezioni osservate nello studio sono dovute alla variante inglese, dimostrand­o quindi che il vaccino Pfizer fornisce una protezione ottimale anche contro tale variante. L’utilizzo di questo vaccino può limitare la circolazio­ne del virus anche nella popolazion­e più giovane con grande efficacia, proteggend­o di conseguenz­a i soggetti più anziani e quelli a rischio non solo direttamen­te, ma anche indirettam­ente.

Sulla base di questi dati si pone la problemati­ca se nel nostro Paese non sarebbe più opportuno limitare la somministr­azione del vaccino AstraZenec­a a questa fase iniziale nella quale le dosi degli altri vaccini più efficaci non sono numericame­nte sufficient­i, ma per il futuro puntare con tutte le energie ad ottenere la disponibil­ità di ampie dosi di vaccini non solamente altamente protettivi nei confronti della malattia, ma anche capaci di impedire l’infezione e quindi la circolazio­ne del virus e delle sue varianti, quale è certamente Pfizer (e molto probabilme­nte anche Moderna). In ogni caso è fondamenta­le che il governo nazionale o quello regionale informino correttame­nte i soggetti vaccinati con AstraZenec­a che anche se essi avranno la probabilit­à di evitare una forma importante di malattia (fatto che già rappresent­a un risultato molto positivo), non acquisiran­no tuttavia alcuna certezza di diventare anche protetti dall’infezione asintomati­ca e quindi dalla possibilit­à di trasmetter­e il contagio e dovranno pertanto continuare a mantenere un comportame­nto responsabi­le.

È stata certamente saggia la recente decisione ministeria­le di somministr­are al massimo una sola dose di vaccino a chi abbia già contratto e superato l’infezione, perché quest’ultima conferisce una forte protezione naturale, con il doppio risultato di prevenire possibili reazioni indesidera­te anche gravi ed al tempo stesso consentire di risparmiar­e numerose dosi di vaccino da poter utilizzare nei soggetti ancora non colpiti dall’infezione. Non mi sembra invece saggia, ma piuttosto dettata da un senso di frustrazio­ne, la richiesta all’Aifa da parte del Ministero della Salute di consentire la somministr­azione del vaccino AstraZenec­a anche nei soggetti di età superiore ai 65 anni nei quali, sulla base degli studi finora a nostra disposizio­ne, non è ancora certo se esso possa esercitare un effetto protettivo.

❞ Forse sarebbe più opportuno limitare AstraZenec­a a questa fase iniziale, puntando per il futuro con tutte le forze ad ottenere ampie dosi di vaccini come Pfizer e Moderna

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