AstraZeneca protegge ma non evita il contagio
Questo vaccino limita i casi di malattia grave, l’infezione resta possibile Senza corretta informazione (e corretti comportamenti) si rischia
❞ Nel mio ultimo articolo su questo giornale del 31 gennaio scorso avevo scritto sulla campagna vaccinale, sottolineando le pecche della macchina organizzativa a livello nazionale e regionale, nonché le problematiche relative alla scelta del vaccino da utilizzare tra quelli attualmente disponibili, che sono Pfizer-Biontech, Moderna e AstraZeneca.
Mentre i dati degli studi immunologici e clinici presentati da Pfizer e Moderna all’esame delle agenzie regolatorie sono apparsi eccellenti (protezione dalla malattia Covid-19 pari al 90-95% a prescindere dall’età), i dati di AstraZeneca apparivano «pasticciati» a livello di programmazione e di valutazione degli studi clinici presentati. La protezione dalla malattia risultava pari al 54-65% ma non venivano forniti dati relativi agli effetti sui soggetti di età superiore ai 55 anni. L’agenzia europea (Ema) e quella italiana (Aifa) ne avevano perciò consigliato l’uso solamente nelle persone di età superiori ai 55 anni, poi elevata a 65. Per questo avevo scritto: «Vista la mia età, questo vaccino io non lo farei». Avevo ragione.
Nelle ultime settimane sono infatti emersi numerosi dati scientifici che ci consentono di essere più precisi sulle caratteristiche di questi vaccini e su cosa potremmo fare per ottimizzare il loro utilizzo. Sappiamo adesso che: 1) il vaccino AstraZeneca fornisce una buona protezione dalla malattia grave, ma non protegge dalle infezioni asintomatiche, come riportato, non solo nello studio iniziale pubblicato su Lancet il 9 gennaio, ma anche in un nuovo studio pubblicato ancora su Lancet il 19 febbraio; 2) il vaccino AstraZeneca funziona meglio se il richiamo è distanziato dopo 12 settimane (dati riportati nello stesso studio). La cosa non è sorprendente, ed è legata alla reazione immunitaria contro l’adenovirus vettore, che rischia di rendere la vaccinazione inefficace con i successivi richiami. Infatti, tutti i vaccini basati su un vettore adenovirale non potranno probabilmente essere utilizzati per eventuali vaccinazioni di richiamo contro nuove varianti; 3) l’effetto frenante sulla circolazione di AstraZeneca nei confronti di alcune varianti virali è ridotto, tanto che in Sud Africa la somministrazione del vaccino è stata sospesa perché la sua efficacia protettiva risultava non superiore al 20%; 4) i dati sugli effetti protettivi di questo vaccino negli over 55 restano, allo stato attuale delle conoscenze, molto limitati. Uno studio scozzese, pubblicizzato recentemente sui media come risolutivo, in realtà non spiega in maniera adeguata quanta parte del calo delle ospedalizzazioni osservato anche negli over 55 sia stato dovuto alla vaccinazione e quanto al lockdown attuato nello stesso periodo di tempo; 5) in realtà, i dati della vaccinazione forniti dal governo del Regno Unito fino al 14 febbraio scorso (The Guardian, del 16 febbraio), relativi alla prevalenza delle ospedalizzazioni in soggetti, sottoposti a lockdown a partire dal primo dicembre 2020 e vaccinati con almeno una dose più di due settimane prima, sono risultati identici tra i tre gruppi di soggetti divisi per età, over-85enni di cui almeno il 40% vaccinati rispetto ai 65-84enni ed ai 1864enni, virtualmente non vaccinati (meno 53% versus meno 54% e meno 49%), mentre la decrescita delle morti era leggermente superiore nei soggetti over 80, vaccinati, che in quelli di età tra 65-79 e 20-64, non vaccinati (meno 69% versus meno 58 e meno 54%); 6) i dati sulla vaccinazione forniti dal governo del Regno Unito (Financial Times, 27 febbraio scorso) dimostrano un iniziale effetto protettivo sulle ospedalizzazioni, ma confermano l’effetto molto modesto di questo vaccino nei confronti dell’infezione.
In conclusione, una vaccinazione di massa con AstraZeneca può proteggere a livello individuale dalla malattia circa il 60-70% dei soggetti ma non è in grado di proteggere dall’infezione asintomatica; forse a causa di questi motivi l’ente regolatorio della Svizzera non ha finora approvato l’uso di questo vaccino in nessuna fascia di età.
Tutte queste osservazioni suggeriscono che un vaccino di questo tipo è capace di indurre una significativa protezione dalla malattia grave a livello individuale, riducendo il rischio di ospedalizzazione e di morte in oltre la metà dei soggetti più fragili per motivi di età avanzata e/ o per la presenza di co-morbilità. Tuttavia, dal momento che non svolge alcun effetto protettivo sulle infezioni asintomatiche, questo vaccino produrrebbe una sensazione di falsa sicurezza nelle persone vaccinate, inducendole a comportamenti meno prudenti. Una conseguenza a lungo termine di questa situazione potrebbe pertanto essere un aumento della diffusione del virus e delle sue varianti nella popolazione, e quindi la recrudescenza della pandemia e, alla lunga, perfino un suo aggravamento.
In contrasto, il vaccino Pfizer (e molto probabilmente anche il Moderna), che negli studi eseguiti sui volontari dalle due aziende avevano dimostrato una efficace protettiva dalla malattia pari al 95%, includendo le fasce di età superiore ai 55 anni, hanno ricevuto piena conferma circa la loro efficacia dagli studi sul real world (mondo reale), in particolare da quella che io definisco la «lezione di Israele». In uno studio, pubblicato il 24 febbraio, sulla importante rivista scientifica New England Journal of Medicine, è stato analizzato l’effetto della vaccinazione di massa condotta in Israele dal 20 dicembre al primo febbraio con il vaccino BioNTech/ Pfizer (oltre il 55% della popolazione).
I risultati di uno studio condotto su due gruppi di 596.618 persone, uno vaccinato e uno non vaccinato, con matching perfetto per età, sesso, gruppo etnico, ecc., dimostrano che il vaccino protegge dall’infezione il 46% della popolazione con la prima dose (nei giovani il 64%) ed il 92% con la seconda; dalla malattia il 57% (prima dose) e il 94% (seconda dose); dall’ospedalizzazione il 74% (prima dose) e l’87% (seconda dose); dalla malattia grave il 62% (prima dose) e il 92% (seconda dose). L’efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione asintomatica è precoce, con diminuzioni del 52% dopo 2-3 settimane dalla prima dose, e addirittura del 90% a 7 o più giorni dalla seconda dose. Oltre l’80% delle infezioni osservate nello studio sono dovute alla variante inglese, dimostrando quindi che il vaccino Pfizer fornisce una protezione ottimale anche contro tale variante. L’utilizzo di questo vaccino può limitare la circolazione del virus anche nella popolazione più giovane con grande efficacia, proteggendo di conseguenza i soggetti più anziani e quelli a rischio non solo direttamente, ma anche indirettamente.
Sulla base di questi dati si pone la problematica se nel nostro Paese non sarebbe più opportuno limitare la somministrazione del vaccino AstraZeneca a questa fase iniziale nella quale le dosi degli altri vaccini più efficaci non sono numericamente sufficienti, ma per il futuro puntare con tutte le energie ad ottenere la disponibilità di ampie dosi di vaccini non solamente altamente protettivi nei confronti della malattia, ma anche capaci di impedire l’infezione e quindi la circolazione del virus e delle sue varianti, quale è certamente Pfizer (e molto probabilmente anche Moderna). In ogni caso è fondamentale che il governo nazionale o quello regionale informino correttamente i soggetti vaccinati con AstraZeneca che anche se essi avranno la probabilità di evitare una forma importante di malattia (fatto che già rappresenta un risultato molto positivo), non acquisiranno tuttavia alcuna certezza di diventare anche protetti dall’infezione asintomatica e quindi dalla possibilità di trasmettere il contagio e dovranno pertanto continuare a mantenere un comportamento responsabile.
È stata certamente saggia la recente decisione ministeriale di somministrare al massimo una sola dose di vaccino a chi abbia già contratto e superato l’infezione, perché quest’ultima conferisce una forte protezione naturale, con il doppio risultato di prevenire possibili reazioni indesiderate anche gravi ed al tempo stesso consentire di risparmiare numerose dosi di vaccino da poter utilizzare nei soggetti ancora non colpiti dall’infezione. Non mi sembra invece saggia, ma piuttosto dettata da un senso di frustrazione, la richiesta all’Aifa da parte del Ministero della Salute di consentire la somministrazione del vaccino AstraZeneca anche nei soggetti di età superiore ai 65 anni nei quali, sulla base degli studi finora a nostra disposizione, non è ancora certo se esso possa esercitare un effetto protettivo.
❞ Forse sarebbe più opportuno limitare AstraZeneca a questa fase iniziale, puntando per il futuro con tutte le forze ad ottenere ampie dosi di vaccini come Pfizer e Moderna