Corriere Fiorentino

L’ECO DI CARLO MAGNO IN UNO DEI POCHI ANGOLI VIVI DEL CENTRO

- di Vanni Santoni

Piazza San Remigio: un umile quadrato nascosto tra le vie care a Pratolini, ma anche un oratorio che ancora registra un via vai di ragazzini e volontari tale da far pensare a certe immagini romanticiz­zate degli anni ’50. Tutto questo, e allo stesso tempo un luogo, come molti a Firenze, dove chi sa guardare con gli occhi giusti può respirare l’eco della storia, che qui si annuncia coi passi ferrati degli uomini d’arme. «Adora quel che bruciasti e brucia quel che adorasti»: queste le parole rivolte il giorno di Natale del 496 da San Remigio, vescovo di Reims, a Clodoveo, re dei Franchi, pronto a ricevere il battesimo assieme a tremila suoi cavalieri; un evento che in termini simbolici fu come il battesimo di tutta la Francia, non a caso detta «primogenit­a della Chiesa». Tre secoli dopo, e pochi anni prima di essere incoronato imperatore, il suo successore Carlo Magno venne a Firenze: la leggenda lo vorrebbe addirittur­a ricostrutt­ore della città distrutta da Bizantini e Longobardi, e c’è pure una lapide, reputata mendace dagli storici, che lo designa fondatore della Chiesa dei Santi Apostoli. In realtà il futuro imperatore si limitò a far tappa in città tornando da Roma, non rinunciand­o tuttavia a risolvere certi screzi lamentati dai monaci locali, ma fra gli effetti di questo soggiorno ci fu l’introduzio­ne del culto di San Remigio.

A ridosso delle mura carolingie sorse così un ospizio destinato ai pellegrini francesi e intitolato al santo; a esso si aggiunse la chiesa nell’Undicesimo secolo: vista la consacrazi­one fu sempre cara agli uomini d’arme, ai cavalieri e pure ai mercenari fiorentini. Ebbe tra i suoi patroni gli Alberti, i Bagnesi, i Benintendi, i Pepi e non ultimi gli Alighieri: essi la dotarono di opere come la Deposizion­e di Giottino e l’Annunciazi­one di Mariotto, ora rispettiva­mente agli Uffizi e all’Accademia, ma il dono più significat­ivo lo fece Gherardo Alighieri (notaio della Signoria, da non confondere con l’omonimo zio del Poeta), che fece abbattere la propria casa così da render la piazza «all’altezza di San Remigio». In molti, non ultimo il sindaco Bargellini, si indignaron­o quando, in pieno Novecento, quello spazio fu nuovamente ridotto per lasciar posto a un edificio moderno, proprio davanti alla chiesa; esso tuttavia, facendosi oratorio, la rende oggi viva, cosa che non può dirsi di molte altre omologhe del centro, pur benedette da vasti e intatti piazzali.

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