Come una pizza e un fiore di ciliegio
Un giorno, a Tokyo, Kaori sentì il misterioso impulso di conoscere la cucina italiana. Cominciò a lavorare a Eataly Japan. Aveva la netta impressione che, ormai, i giapponesi non ci tenessero più tanto al cibo e a mangiare insieme. Invece, a quanto poteva capire, in Italia era diverso. Quando conosceva qualcuno gli chiedeva: «Ma tu come mangi?» dopo un secondo che quello parlava lei girava le spalle e andava via. «Allora vado in Italia!» pensò. Guardò centododici volte Il ciclone di Pieraccioni. Le piaceva il modo di parlare dei personaggi, il suono. E anche l’ironia (lo guardava in lingua originale con sottotitoli). «Allora vado a Firenze» decise. Arrivò in Italia il 13 marzo del 2016, giorno del compleanno di David, che lei ancora non conosceva. Un giorno di aprile David, mentre lavorava come tecnico informatico al centro linguistico dell’ateneo, si vide arrivare questa ragazza che cercava informazioni e una casa. Era carina, buffa. Lui sentì subito, quasi vide, un filo che univa le loro esistenze, come se si fossero conosciuti in un’altra vita, o prima. Camminarono insieme. Prima pochi passi, poi giri più lunghi. Lui era simpatico, timido, avvertiva una risonanza che li avvolgeva come un grande fiore di ciliegio. «Mangiamo una pizza?» le propose. «Pizza!» pensò lei entusiasta: la circolarità colorata dell’alimento sembrava alludere a una vita completa. Andarono. Lui era ironico come i protagonisti de Il ciclone, ma anche in modo un po’ giapponese. Come era possibile? Davide le spiegò che era cresciuto con la cultura giapponese: anime e manga. Passarono ore paradisiache rivedendo i capolavori dei cartoni animati giapponesi. Lui era solito guardarli in lingua originale. Ma c’era un unico caso, Slam dunk, in cui i doppiatori italiani avevano fatto un capolavoro superiore all’originale, usando vari dialetti. Lei fu d’accordo. Le loro anime si fusero. Qualcuno gli disse: «Non siete grandi per i cartoni animati?». Lei spiegò: «In Giappone la gente guarda anime fino a cent’anni». Gli insegnò un po’ di giapponese: in questa lingua si può esprimere qualcosa con una frase che apparentemente non c’entra niente. Per esempio «la luna è bellissima» può voler dire «ti amo». Andarono in Giappone. Ed erano lì, in una metropoli immensa, poi però svoltavano l’angolo, imboccavano una stradina e si ritrovavano in un bosco, nel silenzio, davanti a un tempio. Com’era possibile? In Giappone ci sono due tempi: quello antico e quello moderno. Scorrono insieme. Se riesci a sentirli è bellissimo: puoi anche impazzire. «Che luna, eh?» disse lui.