La solitudine di Prandelli, il mister tifoso che si è preso la Fiorentina sulle spalle
Uomo di campo, si è ritrovato a gestire le difficoltà del club
È la condanna delle persone trasparenti. Basta guardarli in faccia per capire quando c’è qualcosa che non va. Per questo, sabato sera, si è compreso subito che nel cuore di Cesare Prandelli pulsavano emozioni contrastanti. Era felice, certo, ma c’era un (grosso) tarlo che gli impediva di godere a pieno di un successo per il quale avrebbe potuto lasciarsi andare. Perché portava la sua firma, e perché quella col Benevento era una partita che valeva di più. Per lui, e per la Fiorentina.
Eppure, il mister, aveva e ha qualcosa dentro. Un malessere visibile e che lui, tanto per tornare al punto di partenza, non è riuscito a tenere per sé. «Sono molto felice per la squadra e per la società ma sono molto stanco, mi sento vuoto dentro». E poi ancora. «In questo momento noi siamo arroccati, ma ci sono situazioni esterne che vanno tamponate e a me non piace tamponare, a me piace fare il mio lavoro a viso aperto».
Un’uscita che ha inevitabilmente scatenato una lunga serie di domande. Chi erano i bersagli di quelle parole? E a cosa si riferiva? Qualcuno, addirittura, ha pensato che quella presa di posizione fosse il preludio ad un clamoroso passo indietro. Non è così ovviamente. E questo è il (fondamentale) punto di partenza. Prandelli è stanco, è vero, e l’ultima, tesissima settimana lo ha sicuramente provato, ma vuole arrivare fino in fondo. Ieri intanto ha vissuto una giornata di stacco totale. Un «isolamento volontario» per liberarsi di tutte le tossine. La responsabilità gli pesa e chi lo conosce bene assicura che sia davvero così. Il mister vive questa seconda esperienza in viola come un atto d’amore per una compagna in grande difficoltà, e non ha mai nascosto quanto si senta emotivamente coinvolto. Normale, quindi, che tanta passione si trasformi anche in enormi pressioni. E proprio queste sono tra i motivi del suo fastidio.
Prandelli non ha gradito le critiche (a suo parere eccessive) che gli sono piovute addosso dopo la gara col Parma. Soprattutto, è rimasto ferito da alcuni giudizi letti (o ascoltati) tra social network e trasmissioni varie. Non solo. Anche il clima di forte tensione che si stava creando tra il club e una parte dell’ambiente ha contribuito a complicargli la vita. Anche perché è dovuto intervenire lui, spendendosi in prima persona, per cercare di riportare un minimo di serenità. E ancora: quando la società ha attaccato la squadra (dopo Udine) è stato il mister a suggerire il cambio di strategia, invitando alla compattezza. Compiti, questi, non esattamente di competenza di un allenatore. Da qui, il riferimento al voler fare il proprio lavoro a viso aperto, senza perder tempo nel dover «tamponare situazioni esterne».
Nel mezzo, le questioni di campo. Le esclusioni di Amrabat e Biraghi, per esempio. Due scelte che (nonostante le giustificazioni di natura fisica date dal club e dallo stesso allenatore) hanno anche motivazioni legate alla gestione del gruppo. Situazioni, queste, per cui servirebbe un club più attento alle dinamiche di squadra. Insomma, è come se Cesare Prandelli si fosse sentito solo, in mezzo alla tempesta. E in fondo è difficile dargli torto.