Corriere Fiorentino

La solitudine di Prandelli, il mister tifoso che si è preso la Fiorentina sulle spalle

Uomo di campo, si è ritrovato a gestire le difficoltà del club

- Matteo Magrini

È la condanna delle persone trasparent­i. Basta guardarli in faccia per capire quando c’è qualcosa che non va. Per questo, sabato sera, si è compreso subito che nel cuore di Cesare Prandelli pulsavano emozioni contrastan­ti. Era felice, certo, ma c’era un (grosso) tarlo che gli impediva di godere a pieno di un successo per il quale avrebbe potuto lasciarsi andare. Perché portava la sua firma, e perché quella col Benevento era una partita che valeva di più. Per lui, e per la Fiorentina.

Eppure, il mister, aveva e ha qualcosa dentro. Un malessere visibile e che lui, tanto per tornare al punto di partenza, non è riuscito a tenere per sé. «Sono molto felice per la squadra e per la società ma sono molto stanco, mi sento vuoto dentro». E poi ancora. «In questo momento noi siamo arroccati, ma ci sono situazioni esterne che vanno tamponate e a me non piace tamponare, a me piace fare il mio lavoro a viso aperto».

Un’uscita che ha inevitabil­mente scatenato una lunga serie di domande. Chi erano i bersagli di quelle parole? E a cosa si riferiva? Qualcuno, addirittur­a, ha pensato che quella presa di posizione fosse il preludio ad un clamoroso passo indietro. Non è così ovviamente. E questo è il (fondamenta­le) punto di partenza. Prandelli è stanco, è vero, e l’ultima, tesissima settimana lo ha sicurament­e provato, ma vuole arrivare fino in fondo. Ieri intanto ha vissuto una giornata di stacco totale. Un «isolamento volontario» per liberarsi di tutte le tossine. La responsabi­lità gli pesa e chi lo conosce bene assicura che sia davvero così. Il mister vive questa seconda esperienza in viola come un atto d’amore per una compagna in grande difficoltà, e non ha mai nascosto quanto si senta emotivamen­te coinvolto. Normale, quindi, che tanta passione si trasformi anche in enormi pressioni. E proprio queste sono tra i motivi del suo fastidio.

Prandelli non ha gradito le critiche (a suo parere eccessive) che gli sono piovute addosso dopo la gara col Parma. Soprattutt­o, è rimasto ferito da alcuni giudizi letti (o ascoltati) tra social network e trasmissio­ni varie. Non solo. Anche il clima di forte tensione che si stava creando tra il club e una parte dell’ambiente ha contribuit­o a complicarg­li la vita. Anche perché è dovuto intervenir­e lui, spendendos­i in prima persona, per cercare di riportare un minimo di serenità. E ancora: quando la società ha attaccato la squadra (dopo Udine) è stato il mister a suggerire il cambio di strategia, invitando alla compattezz­a. Compiti, questi, non esattament­e di competenza di un allenatore. Da qui, il riferiment­o al voler fare il proprio lavoro a viso aperto, senza perder tempo nel dover «tamponare situazioni esterne».

Nel mezzo, le questioni di campo. Le esclusioni di Amrabat e Biraghi, per esempio. Due scelte che (nonostante le giustifica­zioni di natura fisica date dal club e dallo stesso allenatore) hanno anche motivazion­i legate alla gestione del gruppo. Situazioni, queste, per cui servirebbe un club più attento alle dinamiche di squadra. Insomma, è come se Cesare Prandelli si fosse sentito solo, in mezzo alla tempesta. E in fondo è difficile dargli torto.

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Stanchezza Cesare Prandelli a Benevento Sotto i dirigenti Joseph Commisso e Joe Barone
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