UNIVERSITÀ UN SISTEMA COMPLESSO
Una doverosa premessa: piena e incondizionata fiducia nella magistratura. Ciò detto, l’impianto accusatorio e le prime intercettazioni che cominciano a circolare sull’inchiesta che la magistratura sta conducendo riguardo ai presunti concorsi truccati a Medicina e al ruolo che avrebbe avuto il rettore Luigi Dei sollecitano alcune riflessioni di carattere più generale. La prima riguarda la capacità di equilibrio e di mediazione che viene costantemente richiesta a chiunque sia chiamato a gestire una macchina complessa come un Ateneo di grandi dimensioni qual è quello di Firenze. Ogni persona che abbia ruoli gestionali e direttivi deve ogni giorno fare i conti con la necessità di trovare soluzioni il più possibile condivise, che non lascino indietro nessuno, magari non sempre ortodosse ma dettate dal perseguimento del bene comune. Altrimenti la macchina s’incaglia, il «sistema» non funziona. L’Ateneo di Firenze, proprio sotto la reggenza Dei, nell’aprile del 2019 ha approvato un nuovo Regolamento per la disciplina della chiamata dei professori ordinari e associati che ha notevolmente irrigidito i criteri previgenti. Ha imposto il sorteggio dei membri delle commissioni giudicatrici, introducendo l’equilibrio di genere, e previsto griglie assai strette per la valutazione di titoli e pubblicazioni. Il margine di discrezionalità delle commissioni stesse si è ridotto drasticamente.
E tutto questo a valle di una normativa ministeriale che almeno dalla riforma Gelmini del 2010 ha fortemente insistito sull’accentuazione dei criteri meritocratici e sugli strumenti atti a valutarli, a cominciare dalla classificazione delle riviste scientifiche. Un conto è pubblicare su Lancet e un altro sulla rivista stampata nella tipografia sotto casa. Una volta un commissario poteva spingersi a sostenere questo, adesso non più. I concorsi universitari non sono il Far West. Sono state introdotte regole severe, ed è più difficile infrangerle. Non a caso, a mio avviso, la qualità media del personale docente e ricercatore selezionato negli ultimi anni è decisamente migliorata rispetto al passato. I cervelli non sono tutti in fuga, molti restano qua o ci ritornano grazie al programma Levi Montalcini. Tutto bene dunque? Niente affatto. Ci sono storture nel sistema che ne ingolfano il funzionamento e danno luogo a scelte che possono apparire dettate da logiche nepotizie o clientelari. Per esempio, se un concorso per ordinario lo vince un professore che già ricopriva la posizione di associato nello stesso Dipartimento, questa operazione all’Ateneo costa pochissimo. Se vince un esterno costa un’enormità, e assorbe magari tutte le risorse che potevano essere disponibili per bandire altri concorsi. Da qui le tante progressioni interne e la scarsissima mobilità fra una Università e l’altra. Ma il problema in questo caso sta a monte, nei tagli al finanziamento ordinario degli Atenei che è stato operato negli ultimi anni e ha provocato reazioni e adattamenti come quelli appena descritti. Sui quali, non di rado, finisce col gettare gli occhi la magistratura. Altro tema è quello dell’autonomia universitaria, molto predicata ma assai meno praticata. Perché, chiedono alcuni, non si lasciano i dipartimenti liberi di scegliere i ricercatori e i docenti che vogliono e si chiamano poi a rispondere delle loro scelte? È il modello anglosassone, dove prevale una logica privatistica e liberale che da noi fa fatica ad attecchire. Certo è che in alcuni ambiti, come quello di Medicina dove alla ricerca e alla didattica si somma l’attività ospedaliera, questo modello sembrerebbe funzionare meglio. E probabilmente darebbe meno lavoro a magistrati e avvocati.