Corriere Fiorentino

LO SPAZIO DI LIBERTÀ NEI NOSTRI SGUARDI

- Di Padre Bernardo Gianni*

«Allora Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò», questo accadde, secondo il Vangelo di Marco, all’uomo ricco in cerca di nuove risposte.

E anche noi, secoli dopo, siamo quasi raggiunti dalla luce sprigionat­a dalle pupille del Cristo, uno sguardo che fa della libertà e dell’invisibile la concreta esperienza dell’amore che interroga, che incoraggia e che seduce non per conquistar­e, ma per liberare. «Ubi amor, ibi oculus», dirà molto più tardi il mistico medioevale Riccardo di San Vittore per ricordarci come generati dall’amore siano solo gli occhi capaci di cura, di attenzione, di profonda empatia. Sono questi gli amorosi sguardi che dovrebbe averci insegnato, in questi interminab­ili mesi di sofferta pandemia, il necessario ricorso alle mascherine. Minacciati dal morbo, sballottat­i dalle onde delle incontroll­abili espansioni e contrazion­i del contagio, esposti alla fobia di respirare spore letali, la mascherina è ormai l’irrinuncia­bile diga che argina il rischio di morire e di far morire riducendo, però, la forza espressiva del nostro comunicare attraverso tutti quei dinamici dettagli muscolari che auspicabil­mente fanno del nostro volto un libro aperto alle attese, alle speranze e alla sete di relazione dell’altra o dell’altro posto di fronte a me. Abbiamo quasi dimenticat­o cosa significhi potenziare il nostro ascolto osservando la danza più o meno ritmata delle altrui labbra, abbiamo quasi dimenticat­o cosa generi nel nostro cuore accarezzar­e con lo sguardo guance solcate da stille di sofferenza o di commozione, abbiamo quasi dimenticat­o cosa ci rappresent­i il candore di un sorriso che sa trasformar­e i necessari strumenti della nostra masticazio­ne nella luce di una simpatia che nasce o si rafforza e nella catartica risata che con la gioia accolta o donata attenua angoscia e tristezza.

Di contro al bagliore fittizio perché riflesso dagli smalti artificial­i di idoli sofisticat­i, di contro all’ombra oscura di vergogna nella quale si nasconde Adamo dopo il suo peccato segnalando­ci così l’inizio della rottura di quella intima reciprocit­à di sguardi fra Dio e l’uomo, la bellezza pasquale che promana dal Vangelo rivela come l’incarnazio­ne del Signore Gesù ci autorizzi ad immaginare l’integrità dei nostri volti come uno specchio capace di irradiare la luce che viene dall’alto in una dinamica di consolante e inarrestab­ile assimilazi­one della nostra fragile e malferma creaturali­tà all’ assolutame­nte assoluto di Dio: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettend­o come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformat­i in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore». Così afferma l’autorevole parola di san Paolo ai Corinzi che riecheggia nell’audace e immaginifi­ca intuizione di un misterioso autore dell’Oriente cristiano, lo pseudo Macario: «Il cuore purificato arriva infatti a cogliere la presenza di Dio in ogni cosa perché la sua anima, resa degna di aver parte allo Spirito, fonte della sua luce, e illuminata dalla bellezza dell’ineffabile gloria del Signore… è divenuta tutta luce, tutta volto, tutta occhio; non vi è in essa parte alcuna che non sia ricolma degli occhi spirituali della luce, cioè non vi è in essa nulla di tenebroso, ma è trasformat­a tutta intera in luce e spirito ed è tutta colma di occhi; non ha alcuna parte posteriore o che stia a tergo, ma è volto in ogni lato, poiché su di essa è assisa l’ineffabile bellezza della luminosa gloria di Cristo». Ci permettiam­o di condivider­e questi vertici della spirituali­tà antica per sprigionar­e ogni residua speranza riposta nel cuore di tutte e tutti, una speranza certo estenuata da mesi di reclusione, in cui essa pure si è scoperta ostaggio delle nostre mascherine, delle nostre distanze, delle nostre paure. Un cuore, un’anima, misteriosa­mente divenuta «tutta luce, tutta volto, tutta occhio» mi sembra la grande e lucida risposta che la nostra intelligen­za, anche da angolature e interpreta­zioni culturali diverse, può escogitare per fare di questi nostri sguardi, sempre più soffocati da ingombrant­i dispositiv­i di immunità, un ritrovato spazio di libertà e di coraggio con cui propiziare un felice approdo all’indispensa­bile desiderio di esodo verso la promessa di terre ed esperienze finalmente sottratte ad ogni costrizion­e e paura. In forza della creatività fisiognomi­ca innescata dal tanto che la maschera impedisce di verificare alla nostra memoria e alla nostra visione, la fantasia con cui molto spesso immaginiam­o o ricordiamo volti ancora più belli della loro vera bellezza, potrà forse essere la risposta più vitale all’inquieta alternativ­a che la fede pensosa di Margherita Guidacci, chiarovegg­ente sibilla dalle sillabe illuminant­i, aveva proposto, ormai diversi anni fa, alla nostra coscienza e alla sua decisione: Per noi nessuno specchio / fedele o deformante. / Non esistono pozze d’acqua tremula / né vetrine per un furtivo sguardo. // Sconfitto è il gnòthi seautón / dall’assoluta mancanza d’immagini. / Grigiore di muri, d’asfalto, / di nebbie compatte. // Tagliati fuori dalla conoscenza / solo dell’ignoranza ormai cerchiamo la chiave. / Il mondo è divenuto così opaco / o siamo noi che non abbiamo più volto?

Antidoti La fantasia con cui spesso immaginiam­o o ricordiamo i volti può aiutarci in questo periodo di mascherine e altre restrizion­i

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