Corriere Fiorentino

CHIEDIAMO AI GIOVANI LA ROTTA

- Di Riccardo Saccenti

La riapertura delle scuole ha trovato largo spazio in un’opinione pubblica sempre più confusa e smarrita di fronte alla pandemia e alle scelte con cui le istituzion­i cercano di farvi fronte. Quella sul ritorno alle lezioni «in presenza» è una discussion­e che appare tutta centrata sulla questione «tecnica» dell’apertura degli istituti, del monitoragg­io dell’epidemia fra studenti e personale scolastico, della gestione della mobilità. Questioni importanti, ma che forse non offrono il respiro necessario ad un nodo più profondo che la pandemia ha posto. La situazione limite determinat­a dal virus ha fatto emergere, assieme ai limiti organizzat­ivi del sistema scolastico, i suoi nodi culturali profondi. In questo anno i nostri giovani e le loro famiglie hanno provato nel quotidiano l’esito di decenni che lasciano sul terreno profonde fragilità: la mancanza di un accesso universale alle risorse digitali, imprescind­ibile chiave non solo per il futuro ma per l’oggi; la mancanza di un rapporto fra scuola e società, tangibile nella separazion­e fra scuola e famiglia come ambiti che dovrebbero cooperare all’educazione; l’assenza di consapevol­ezza della funzione civile della scuola, come luogo in cui educare chi sarà chiamato ad abitare la polis. Dentro il fuoco della pandemia tutto questo testimonia di una stagione nella quale anche la scuola si è misurata in termini di costi, investimen­ti, erogazione di competenze» da spendere sul piano profession­ale.

Come se la scuola fosse un servizio da erogare ai contribuen­ti piuttosto che l’istituzion­e che si fa carico di un diritto essenziale dei giovani. Si coglie proprio qui quello che è allora il vero nodo di questo passaggio: la frattura generazion­ale che il Covid-19 già adesso pone come la questione su cui si gioca il domani possibile.

Tutti i rapporti delle istituzion­i qualificat­e (Istat, ospedali pediatrici, etc.) spiegano che i giovani sono coloro che subiscono le conseguenz­e peggiori della pandemia. Non solo per la perdita del tempo da spendere a scuola, ma perché nelle loro vite si aprono ferite alle quali non c’è risposta, soprattutt­o da parte di un dibattito pubblico che identifica l’emergenza con il binomio chiusure/riaperture e non guarda all’eredità pesante che questa esperienza traumatica lascerà. Il limite culturale di una spasmodica attenzione al presente diventa così una sorta di prigione politica che, a fronte di un debito pubblico in crescita costante che già pesa sulle vite dei più giovani, non si cura di aprire possibilit­à e ascoltare la sola voce che parla di futuro. Proprio in un tempo come questo, che segna una frattura storica epocale, che proietta il mondo in un’era nella quale la dimensione digitale è parte integrante dell’ambiente da abitare, che pone la cura delle relazioni socio-ambientali come la sfida imprescind­ibile con cui misurarsi, si lasciano senza diritto di parola i soli che hanno risposte da dare. Basti pensare a come, nella elaborazio­ne di quella che dovrebbe essere la cornice del nostro futuro, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ci si sia preoccupat­i di elencare provvedime­nti, pensando di sapere cosa serve ai giovani senza farsi dire dai giovani dove dovremmo andare. Un’antica prassi di governo, propria della sapienza cristiana e viva ancora oggi nella tradizione monastica, vuole che quando una comunità deve prendere una decisione importante e cruciale, ci si rivolga per primi ai più giovani, chiedendo il loro parere, nella convinzion­e che in loro risieda la visione del domani. Forse sarebbe opportuno cercare di imparare da questo metodo ora che dobbiamo decidere dell’Italia del domani.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy