Corriere Fiorentino

La generazion­e che se n’è andata senza un addio Un giorno dopo l’altro

- Di Giulio Gori

Giuseppe, 7 novembre. Galileo, 7 novembre. Anna Maria, 10 novembre. Abaz, 11 novembre. Giorgio, 12 novembre. Giuliana, 12 novembre. Vittorio, 13 novembre. Giliana, 14 novembre. Adelina, 14 novembre. Una fila di nove croci di legno, una fila che racconta la cronologia dei caduti del Covid, con le date della loro scomparsa. Una dietro l’altra. Siamo a Trespiano, in un largo rettangolo di prato, chiamato «il quadrato delle calamità naturali». Un dipendente del cimitero racconta che quel settore, da quando è stato assunto nel 2007, era sempre rimasto vuoto. Qualcuno ipotizza che fu creato dopo l’Alluvione del ‘66, per gestire un nuovo evento tragico, un’altra piena dell’Arno, un terremoto. Nessuno pensava che a riempirlo sarebbe stato un virus. Poi dal 14 aprile di un anno fa, con la tomba di Hasime, una donna albanese di 77 anni, sono cominciate ad arrivare le bare.

Le altre date impresse sulle targhette di ottone, quelle di nascita, raccontano invece l’addio di una generazion­e, quella dei settantenn­i e degli ottantenni: sono quasi sempre loro le vittime, ma tra i caduti spuntano anche nati negli anni 50 e 60.

Nel quadrato le tombe sono poche, appena 90, quasi tutte le vittime del coronaviru­s vengono infatti cremate.

C’è anche qualcuno che invece ha comprato per il proprio caro un posto nei forni di cemento, nei «distinti», al cimitero li chiamano proprio come allo stadio. Ma i morti di Covid che vanno inumati nella terra sono tutti lì, nel «quadrato Covid», il nome che a Trespiano ormai ha sostituito il vecchio riferiment­o alle calamità naturali.

In quelle croci di legno una dietro all’altra, scorrono le tappe della carneficin­a. Aprile e maggio, poi di nuovo novembre e dicembre, per ripartire di nuovo da fine gennaio di quest’anno. Date che coincidono con le tre ondate della pandemia, che fin qui in Toscana hanno fatto 5.632 morti, 28 ancora ieri. 1.783 sono solo tra Firenze e provincia, cinquanta volte le vittime accertate dell’Alluvione del ‘66. E quella piccola, pur parziale, testimonia­nza rappresent­ata dal «quadrato» diventa così, nella freddezza dei numeri, il racconto fedele di un anno di pandemia.

Da allora il tempo sembra sospeso a Trespiano. Delle 90 bare divise su nove file, solo in un caso c’è già una tomba di pietra. È quella della signora Silvana, morta il 27 maggio. Tutte le altre sono ancora un cumulo di terra con la croce di legno e una targhetta provvisori­e. Nessuno a Trespiano sa spiegare il perché. Forse si aspetta la fine della pandemia per tornare a commemorar­e i propri cari al cimitero, o forse qualcuno è morto davvero da solo. In ospedale, le vittime del Covid si sono spente senza l’affetto dei propri cari, ma ci sono anche intere famiglie che sono state spazzate via, senza nessuno che possa passare sulla collina a rendere omaggio a chi non c’è più.

Molte di quelle tombe non hanno neanche un fiore, neppure vecchio e rinsecchit­o, quasi come quelle dimenticat­e da decenni. Tra le poche eccezioni, il caso di Silvana, scomparsa il 16 di aprile di un anno fa. Aveva solo 59 anni. La croce è ancora quella provvisori­a, la foto è appesa con due puntine da disegno, ma la terra è ricoperta da una distesa di fiori bianchi e rosa.

In un cimitero deserto per la Zona Rossa, dove l’unico anziano che si incrocia si solleva per un istante il cappello in un segno di solidariet­à tra superstiti, a raccontare che ancora qualcosa si muove è l’escavatore parcheggia­to accanto al quadrato Covid. Vuol dire che ci sarà ancora da lavorare, che l’ecatombe con le date tutte in fila, una appiccicat­a all’altra, non è ancora finita.

In attesa della tomba Sulle 90 croci di legno le date di morte coincidono con le tre ondate della pandemia

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A novembre
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