UN ALTRO GENERE DI SFIDA
Ecosì Alessandra Petrucci sfonda il soffitto di cristallo che aveva tenuto fuori dalla guida dell’Ateneo fiorentino una docente non solo nei 700 anni tondi tondi che ci separano dalla nascita dello Studium Generale, considerato l’antesignano dell’Università fiorentina, ma anche nella storia molto più recente in cui si sono avvicendati tutti rettori uomini. Tributato questo omaggio alla statistica, disciplina in cui la professoressa Petrucci è uno dei maestri, forse c’è un po’ di spazio per fare il guastafeste di una elezione sicuramente storica ma il cui valore rischia ingiustamente di esaurirsi nel mettere in primo piano il portato di genere del nuovo rettore. Magari esercitandosi nei prossimi giorni a capire se è più corretto definirla Magnifica Rettrice oppure mantenere il titolo al maschile. Sarebbe il peggiore torto che si potrebbe fare a una studiosa che a breve dovrà affrontare i grandi e difficili nodi dell’Ateneo e che dovrà avere il sostegno di tutta la città, dalla quale dovremo attendere l’esaurirsi dell’effetto sorpresa che con qualcosa di più di un pizzico di provincialismo fa dire in coro: «Hai visto? L’è donna...». Avrà bisogno, come chiunque altro o altra fosse stato eletto o eletta, dell’aiuto di tutti perché è sull’Università che si gioca non solo il futuro di uno dei più importanti poli del sapere ma perché si tratta di uno degli asset fondamentali su cui costruire, se lo vorremo, un futuro e una prospettiva diversa per Firenze.
A che serve essere in buona posizione nei ranking europei se non a fare in modo che quel podio virtuale non sia solo autoreferenziale ma diventi patrimonio della città e della regione di cui è il capoluogo? Alessandra Petrucci, c’è da scommetterci, sarà travolta da un’ondata di consigli e di suggerimenti. È bene che li ascolti e poi scelga come crede. Ma alcuni elementi saranno imprescindibili, come quelli evidenziati ieri su queste pagine da Sergio Givone, Azzurra Morelli, Nicoletta Maraschio e Alberto Zanobini: la battaglia per cambiare la gestione del reclutamento, un rapporto organico con gli altri atenei toscani, un rapporto trasparente e rispettoso dei ruoli con il mondo dell’impresa, ma forse sarebbe meglio dire con quello più complesso del lavoro, una rinnovata attenzione al tema della tutela della salute, facendo tesoro della drammatica lezione dalla pandemia. Ma è proprio sullo scenario complessivo della città una volta superata la fase più critica del ciclone Covid che Petrucci potrà misurare al meglio la sfida più importante che le si propone. Quella di una Firenze che penosamente insegue il proprio passato recente fatto di fasti turistici a bordo dei torpedoni, che ha trasformato il proprio centro storico in un centro commerciale come in altre mille città che non possono contare sulla grande capacità taumaturgica del «bello» che tutto assolve e tutto lava. In quello scenario l’Università potrà esercitare un ruolo strategico se vorremo tentare di trasformare Firenze in un luogo in cui si venga per imparare e magari per restare o per tornare. Quella città della conoscenza, espressione che troppo a lungo è stata solo uno slogan, ora attende di essere declinata in modo concreto.