Alla Coop dopo l’incendio I lavoratori: «E adesso?»
La triste processione per recuperare gli effetti personali dopo il rogo. «Dentro non c’è più niente»
Occhi lucidi, un sacchetto in mano, lo sguardo rivolto in basso. I dipendenti della Coop di Ponte a Greve, a Firenze, distrutta da un incendio, ieri sono tornati all’interno del centro commerciale per recuperare i propri oggetti personali. Intanto, l’inchiesta per incendio colposo va avanti senza indagati: la prossima settimana il pm Christine von Borries nominerà i periti.
Occhi lucidi, un sacchetto in mano, lo sguardo rivolto in basso. I dipendenti della Coop di Ponte a Greve non ce la fanno a guardare l’enorme involucro di cemento e lamiera che fino a giovedì era il loro posto di lavoro, senza commuoversi. «Ero qui quando ci fu l’inaugurazione. A novembre avremmo fatto la festa del diciottesimo. E dicono che forse butteranno giù tutto».
Entrano alla spicciolata, accompagnati dai vigili del fuoco, per andare a riprendere ciò che hanno lasciato negli spogliatoi giovedì. Ma gli unici che possono recuperare borse, chiavi, portafogli, abiti, telefoni cellulari, sono i dipendenti della forneria. «Dentro è come diviso in due: da una parte è rimasto quasi intatto, dall’altra c’è la devastazione. Le nostre cose si sono salvate, chi aveva gli spogliatoi dall’altro lato o al piano di sopra, ha perso tutto».
Giovedì sono tornati a casa solo con quello che avevano indosso, senza nemmeno le chiavi, solo con le loro divise. «Ci siamo visti le fiamme sulla testa, sul tetto, e siamo scappati». La Coop li ha smistati in altri negozi, qualcuno dovrà farsi anche 30 chilometri al giorno per di lavorare. «Ma non è la stessa cosa. Ormai, conoscevamo anche i gusti dei clienti, nonostante questo non sia un negozio di vicinato. Eppure li conosciamo, sappiamo cosa prendono, a che ora vengono, le loro storia. Poi con il lockdown, ci siamo impegnati, è stata dura, ma ce l’avevamo fatta. E invece questo disastro, ora, chissà che succede».
Anche i titolari dei negozi della galleria commerciale cercano di salvare il salvabile, caricano sui furgoni qualche espositore o pochi pezzi di merce intatta. Ci sono intere famiglie senza più un’attività. Non hanno voglia di raccontare, è rimasta la rabbia, in un pomeriggio hanno visto sparire il lavoro di una vita. Nel parcheggio ci sono anche i dipendenti della cooperativa delle pulizie, preoccupati, «perché se domani mi mandano a 30 chilometri da qui, come faccio ad arrivarci?». I ragazzi della sicurezza sono nelle stesse condizioni. Le auto dei curiosi sfilano tutto il pomeriggio, diverse persone accostano per chiedere informazioni: «Ma come mai è tutto chiuso? Che è successo?». Sembra incredibile anche ai carabinieri, che — sbigottiti — spiegano dell’incendio.
Malumore e rabbia, tra le parole commosse dei lavoratori. C’è chi dà la colpa all’incuria, alla disattenzione, alla ditta che stava facendo i lavori sul tetto, che sono stati ascoltati dai carabinieri, in qualità di testimoni, mentre altri saranno sentiti lunedì prossimo. Per ora, l’inchiesta per incendio colposo, va avanti senza indagati: la prossima settimana il pm Christine von Borries nominerà dei tecnici che dovranno accertare non solo le cause dell’incendio, ma come dovevano essere svolti i lavori e con quali strumenti, e se sia stata rispettata la normativa sulla sicurezza. Per questo, nei prossimi giorni, sarà acquisita anche la documentazione sull’aggiudicazione dell’appalto per i lavori, le funzioni delle ditte coinvolte e la valutazione sui rischi che quell’attività avrebbe comportato. Tutto utile alle indagini per risalire alle eventuali responsabilità.
«Questa è stata la nostra casa per 18 anni, e ora forse per una sciocchezza, è distrutta. Forse non ci torneremo mai più. Sono tre giorni che non ci dormo dalla preoccupazione, non c’entra lo spavento. Sono entrato a prendere le mie cose, e mi è venuto il magone». Un groppo in gola, la voce spezzata, lo sguardo che si alza piano verso quel guscio vuoto di cemento e lamiera. «Da fuori, non sembra nemmeno. E invece, dentro, non c’è rimasto nulla, non c’è più niente».