«Noi angeli e demoni di Dante»
L’intervista Aldo Cazzullo domani insieme a Piero Pelù porta in Santa Croce l’omaggio al Poeta «Ammiro il suo coraggio, spedisce all’Inferno i tiranni del suo tempo, anche chi era ancora vivo»
«Non vedrete Piero Pelù “leggere” Dante. Lui “interpreta” Dante. Diventa i suoi personaggi. Diventa Caronte, Ulisse. Diventa i diavoli di Dante: Alichino, Cagnazzo, Calcabrina, Farfarello, Rubicante pazzo. È una di una bravura impressionante. E poi canta...».
Chi non sa cosa aspettarsi dalla «strana coppia» Aldo Cazzullo e Piero Pelù, domani sera in piazza Santa Croce, deve immaginare qualcosa che travalichi la semplice lettura delle terzine e i commenti del giornalista del Corriere della Sera e autore del libro A riveder le stelle (Mondadori) da cui lo spettacolo di domani prende origine. Uno spettacolo teatrale e musicale che gira intorno alla Divina Commedia e la rapporta al mondo e ai temi di oggi. Lo racconta lo stesso Cazzullo: «Ho pensato che nessuno meglio di un rocker potesse leggere Dante e quel rocker non poteva che essere Piero Pelù: uno spirito libero, un artista coraggioso. Le parole di Dante gli si confanno. E poi è fiorentino, cosa che non guasta».
Domani sera alle 20.45 A riveder le stelle prende dunque vita in piazza Santa Croce, prima tappa di un tour che toccherà oltre metà del Paese. Oltre alle parole, la musica: la voce dei Litfiba canterà L’isola che non c’è di Edoardo Bennato «che è imparentata al viaggio fiabesco di Ulisse oltre le colonne d’ercole», Povera patria di Franco Battiato «che richiama l’invettiva del sesto del Purgatorio “Ahi serva Italia, di doso, lore ostello...”». E infine uno dei suoi pezzi più recenti, Pic nic all’Inferno. Che non ha bisogno di motivazioni. Sono già nel titolo.
Aldo Cazzullo, come funziona l’accoppiata con Pelù: lei interpreta il lato «angelico» e lui quello «bestiale», parola sua, del Poeta?
«Veramente Piero legge anche la preghiera alla Vergine del trentatreesimo del Paradila più bella preghiera mai scritta. Può incarnare anche il lato angelico. Dante usa tutti i registri linguistici, l’alto e il basso, il lirico e il grottesco. Come diceva Terenzio: è un uomo e nulla che sia umano gli è estraneo. Dante è tutti gli uomini. È tutti gli aspetti dell’animo, anche quelli malvagi».
Qual è l’aspetto che maggiormente la affascina?
«Credo che l’Inferno sia la vera autobiografia di Dante. Là c’è tutto: la donna amata, Beatrice, il maestro, Virgilio, l’insegnante, Brunetto Latini, il Conte Ugolino con cui ha in comune il dramma di 4 figli che patiscono la fame. Ma l’aspetto che più mi affascina è in Ulisse dove Dante vede se stesso: è il primo uomo moderno, anche se il Poeta rimane un uomo del Medioevo, perché la modernità non nasce dalla saggezza ma dalla consapevolezza di essere ignoranti. È sapendo socraticamente di non sapere che ci si mette in viaggio verso l’orizzonte. E poi amo l’aspetto profetico di Dante, come ha detto anche Papa Francesco: perché parla di cose modernissime come la condizione della donna in un momento storico in cui ancora si dibatteva se avesse o meno un’anima, critica i papi per il loro potere politico assoluto, manda all’inferno gli usurai tra coloro che fanno violenza contro Dio, intuendo in un certo senso la degenerazione della finanza. E infine ammiro il suo coraggio: spedisce all’Inferno i tiranni del suo tempo, affogati nel proprio sangue.
Anche chi, come Branca Doria, era ancora vivo nel mondo in cui scrive. Prendendosi dei rischi enormi».
In questo anno dantesco in cui tutta Italia celebra i 700 anni dalla sua morte, voi iniziate da Firenze.
«Perché Firenze non è solo la patria di Dante ma è la patria morale di tutti gli italiani. È la città che con le sue tre statue in piazza della Signoria, il David, Giuditta e Oloferne e Perseo,
manda al mondo un messaggio politico di libertà e indipendenza. Come a dire: “Non ci arrenderemo mai”».
E avete scelto piazza Santa Croce. Che da sempre vorrebbe accogliere le spoglie del Poeta, rimaste a Ravenna. Un’attesa lunghissima e probabilmente vana...
«Ravenna non le darà mai indietro. Ma non importa: Dante rimane comunque fiorentino fino al midollo. Dante appartiene a Firenze e Firenze appartiene a Dante lo stesso, e grazie a Dante tutti gli italiani parlano fiorentino».
Mostre, convegni, letture, teatro, musica. Si sta facendo di tutto, in chiave dantesca, in questo anno speciale. Cosa manca ancora?
«Nessuno ha ancora fatto una fiction su Dante. L’hanno fatta su Totti, l’hanno fatta su Baggio. E su Dante no?».
E cosa dovremmo fare noi come italiani affinché Dante ci possa considerare degni di lui?
«Continuiamo a essere troppo divisi, come ai suoi tempi tra Guelfi e Ghibellini. Dovremmo essere più uniti. E a volte pensiamo che essere italiani sia una sfortuna, quando invece è un’opportunità e una responsabilità. Quando lo facciamo è come se dimenticassimo di essere un po’ nipotini di Dante. A volte l’Italia non è consapevole di se stessa, non c’è dubbio. Ma è l’Italia, non sarà mai un Paese banale».
Debutto «Iniziamo da qui, perché Firenze è la patria morale di tutti gli italiani»