Chiti: troppo tardi, serviva subito una valutazione politica. Perché l’emendamento?
L’ex ministro nel nuovo libro: il Pd incompatibile con la sinistra moderna
«Questo Pd, questo modello di partito è incompatibile con una moderna idea di sinistra plurale». La frase è di Vannino Chiti, contenuta nella sua ultima opera, Il destino di un’idea e il futuro della sinistra (Guerini e associati). Un breve ma puntuale sguardo al dialogo tra sinistra e cattolici, che guarda davvero al futuro, cercando le ragioni ed i modi per far rinascere un progetto, quello del Pd, a cui Chiti crede ancora, avendolo fatto nascere.
Ma quando si chiede a Chiti se parlasse anche del partito toscano, a cui l’ex presidente e senatore non ha lesinato critiche, è altrettanto sincero: «Sì». E parte proprio dalla vicenda dell’inchiesta sul settore conciario, sulla presentazione dell’emendamento proposto da imprenditori a esponenti Pd, «copiaincollato» e portato senza discussione, delle possibili infiltrazioni mafiose. Chiti, il «suo» Pd avrebbe aspettato settimane prima di riunire la direzione per affrontare il problema? «No — taglia corto il politico pistoiese, che parte come un fiume in piena — nel mio Pd il giorno dopo, scoppiata l’inchiesta, ci sarebbe stata subito una valutazione politica: non giudiziaria, la magistratura faccia presto il suo ruolo. Ma subito tutti riuniti per capire: quali sono gli strumenti con cui si fronteggia criminalità in Toscana? Vanno aggiornati? Poi, il nodo politico: perché avete presentato quell’emendamento? Non penso (e spero) che le persone coinvolte abbiamo responsabilità giudiziarie. Ma perché presentarlo e firmarlo senza conoscerlo? Perché non è stato chiesto un parere degli uffici?».
Ma non finisce qua: perché Chiti ne ha per tutti. «È ovvio che la responsabilità più grande è della maggioranza: ma è grave che l’opposizione non abbia chiesto un parere agli uffici. Non fa il suo dovere. Ancora: perché è stato approvato senza parere della giunta? E poi avrei chiamato l’allora assessora all’Ambiente Federica Fratoni per chiederle perché anche lei non ha dato un parere. Lei sostiene che discutere fa male. No, discutere è essenziale».
Per questo motivo, Chiti avrebbe fatto tutto questo «nelle prime 48 ore. E poi riunito tutte le sezioni». Perché «una forza di sinistra non può essere una forza di celluloide: usiamo le tecnologie per discutere e far parlare, ma occorre stare sul territorio. Non giova neanche alle istituzioni essere abbandonate dalla politica». Che è poi la critica fatta dal presidente dell’Anci e sindaco di Prato Matteo Biffoni: i sindaci sono soli, anche rispetto al proprio partito. «È così — va avanti Chiti — e i segretari di partito servono a quello, al confronto. Non è un ruolo residuale mentre fai altro». Qui Chiti ricomincia a parlare del libro, il tema della chiacchierata: l’analisi della politica di tre grandi (Gramsci, Togliatti, Berlinguer) nel rapporto col mondo cattolico. «Il torto più grande fatto a Berlinguer, ricordato solo nei giorni della morte, è abbandonare la sua parte innovativa, quello che diceva sui movimenti, nazionali e internazionali, negli ultimi anni della sua vita».
Perché un partito di sinistra non può avere rapporti solo con gli imprenditori, ma con tutta la società, «deve avere valori, il rapporto è tra Pd-imprenditori-economia-ambiente, rigore. E domando: siamo Rosy Bindi, Iacopo Melio e io che non vogliamo bene al Pd, con i nostri toni, o gli vogliamo tanto bene rispetto a chi si tappa gli occhi, le orecchie e la bocca?». Perché poi (sempre riparlando del libro) non basta neanche dire «bello il messaggio del Papa su giustizia sociale e ambiente. Il suo messaggio è per il mondo, sta a chi fa politica tradurlo in scelte coraggiose». E magari, veloci.