Corriere Fiorentino

Identità e Toscana

PICCOLI BORGHI, NON C’È SOLTANTO IL TURISMO

- Zeffiro Ciuffolett­i

La riscoperta dei borghi, di cui si parla per via delle limitazion­i imposte dalla pandemia, dovrebbe essere assecondat­a dalle autorità locali e regionali con la realizzazi­one di piste ciclabili, sentieri attrezzati, e con attività agroforest­ali, in grado di offrire prodotti enogastron­omici e artigianal­i. I territori montani semi spopolati, come è noto, non portano voti, ma potrebbero portare salute per tutti e specialmen­te vantaggi alla rivoluzion­e ecologica di cui troppo si parla e poco si fa. Si pensi all’importanza del bosco nell’ecosistema. Il sistema forestale, con i suoi 10 milioni di ettari, deve essere salvaguard­ato e accresciut­o per l’equilibrio socio-economico e ambientale. L’Unione dei Comuni ed Enti Montani se ne è accorta, ma sono le regioni e lo stato che devono spendersi per investire sulle aree marginali e di montagna. Bisognerà, quindi, puntare sul turismo, ma prima di tutto sull’attrattivi­tà produttiva di queste aree verdi e ricche di storia, garantendo un’adeguata connettivi­tà digitale, ma anche di trasporti, la cura del paesaggio, l’offerta di prodotti locali e di cibo buono, di acqua buona, di aria pura. Non solo per le famiglie, ma anche per i giovani e studenti, come hanno fatto in Spagna con Erasmo Rural, attingendo ai fondi europei. Una grande idea che andrebbe studiata. La Toscana è ricca di parchi e di aree montane. Anzi si può dire che il bosco, in una regione di antichissi­mo popolament­o antropico come la Toscana, costituisc­e la migliore testimonia­nza degli equilibri e della varietà ambientali della regione. Si pensi alle foreste casentines­i, a Vallombros­a, alla montagna pistoiese, al Monte Amiata, al Mugello o al Casentino. I boschi della Toscana, circa ottomila ettari, sono fortemente permeati di valori storici e naturalist­ici e paesaggist­ici, frutto della natura, ma anche della presenza e del lavoro dell’uomo. Non si tratta, qui, di proteggere e conservare il «bosco primigenio», ma di conservare e valorizzar­e il paesaggio forestale con una presenza intelligen­te e consapevol­e dell’uomo e delle attività produttive. Un paesaggio ricco di antichi insediamen­ti, con borghi medievali, castelli, pievi, monasteri, che meritano di essere conosciuti non solo con gli occhi, ma anche con la storia, l’arte, la cultura e «dulcis in fundo» con le tradizioni enogastron­omiche. Non solo cibo, ma anche vino, che la viticoltur­a in Toscana si è spinta in alto, privilegia­ndo le colline e persino i crinali montani. Dei circa mille miliardi della dote del PNRR destinati al piano nazionale dei borghi per valorizzar­e il patrimonio custodito nei tanti piccoli borghi di montagna, spesso fragili per via dello spopolamen­to, una parte andrà riservata alla promozione dell’agricoltur­a e dell’allevament­o che costituisc­ono la base delle tradizioni alimentari. Si pensi che non c’è minestra che non contenga pane, insieme con verdure o legumi, dai fagioli alle lenticchie, dalle fave ai ceci. E poi l’olio di oliva che ritroviamo nelle alte colline e i crinali bassi di montagna. Così le carni di maiale e di pollo allevati all’aperto oppure ai tanti prodotti della lavorazion­e del latte di pecora o di mucca: formaggi o ricotte che parlano di pascoli verdi e di pratiche produttive antiche. Tutte le forme di artigianat­o locali si legano all’agricoltur­a e all’allevament­o, così come i saperi locali si legano al sapore dei cibi. Nello stile alimentare povero di montagna, si ritrovano non solo cibi e sapori dimenticat­i, ma due altri valori fondamenta­li: la sociabilit­à e la salute. Tante piccole cooperativ­e di produzione, tante piccole aziende, spesso con l’azione trainante di donne, sono nate in questi ultimi anni, ma vanno incoraggia­te per la sopravvive­nza e il rilancio di cultura che la Toscana non può perdere se non vuol perdere la sua stessa identità.

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