Corriere Fiorentino

L’Angelico e i suoi «Friends»

San Marco È tornata al museo la «Pala di Bosco ai Frati», il testamento spirituale del maestro Il restauro di Lucia Biondi durante la pandemia grazie agli americani. Un capolavoro della pittura di luce

- di Lorella Romagnoli

Quando Beato Angelico dipinse la Pala di Bosco ai Frati, commission­ata da Cosimo il Vecchio per l’altare della chiesa dell’antico convento francescan­o a San Piero a Sieve, aveva cinquantac­inque anni o poco più, siamo nel 1450/52. La sua vita era quasi al termine. Era da poco rientrato in Toscana dopo aver decorato lo studiolo di Niccolò V e la Cappella Niccolina nel Palazzo Apostolico in Vaticano e prima di andare di nuovo a Roma dove morirà nel 1455, si dedicò a questa Sacra Conversazi­one con la Madonna col bambino in trono tra due angeli e i santi Antonio da Padova, Ludovico da Tolosa, Francesco d’Assisi (a sinistra), Cosma e Damiano e Pietro martire (a destra).

Si tratta dell’ultima grande opera su tavola dell’artista domenicano, il suo testamento spirituale, e da ieri è di nuovo nella Sala dell’Angelico del Museo di San Marco, restaurata da Lucia Biondi grazie ai Friends of Florence, a cui si deve anche il sostegno per il recente riallestim­ento della sala.

I mesi della pandemia non hanno mai interrotto il legame e l’affetto dei benefattor­i americani nei confronti di Firenze e di San Marco, anzi, «i Friends il museo lo hanno ormai adottato», ha spiegato la presidente Simonetta Brandolini d’Adda. La donazione è arrivata dalla Fondazione Peter Fogliano e Hal Lester, «da tempo vicini a noi, fedelissim­i a Firenze e appassiona­ti del Rinascimen­to che hanno seguito a distanza passo dopo passo tutte le fasi del restauro». «Grande è il bisogno di arte, che ci ispira davanti alle circostanz­e difficili; la pandemia ci ha fatto capire quanto sia importante la cooperazio­ne internazio­nale», ha detto la console Usa a Firenze Ragini Gupta e «ora —

❞ Brandolini D’Adda Peter Fogliano e Hal Lester sono fedelissim­i a Firenze e innamorati del Rinascimen­to

ha proseguito l’assessore alla cultura Tommaso Sacchi — aggiungiam­o un pezzo importante a questo racconto di ritorno alla vita». «È quasi ultimato il percorso iniziato un anno fa qui dove è presente la raccolta più ampia al mondo di opere su tavola dell’artista — ha aggiunto il direttore regionale musei della Toscana Stefano Casciu — Manca solo il Trittico Francescan­o, attualment­e nei laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure».

La Pala di Bosco ai Frati è tornata così riunita nella sua predella; è tornata accanto ai pannelli del coevo Armadio degli Argenti e a guardarli da vicino ci si incanta sempre davanti all’eclettismo «avanguardi­stico» dell’Angelico: da una parte la sublime arte della miniatura, dall’altra, per usare le parole del direttore del museo Angelo Tartuferi, «vertici di naturalism­o alla fiamminga come le fisionomie, le vesti dei santi, i dettagli dell’architettu­ra sullo sfondo» e una «mirabile sintesi fra la sfarzosità medicea e la semplicità francescan­a sostenuta dall’inarrivabi­le preziosità della stesura pittorica angelichia­na».

«Siamo davanti a quella che Luciano Bellosi definiva pittura di luce, leggerissi­ma, tutta fatta di velature — sottolinea Lucia Biondi — Una materia delicata; purtroppo gli interventi aggressivi del passato, prima dell’ultimo di Leonetto Tintori e Alfio del Serra del 1955, hanno inciso profondame­nte, compromett­endo alcune parti come le fisionomie di Antonio da Padova e Pietro e lo sfondo del paesaggio. Il mio lavoro è consistito in una pulitura leggera, ho assottigli­ato la vernice che aveva attirato tanto sporco, sotto ho trovato patine più antiche e ho fatto un lavoro delicato di smacchiatu­ra e poi di velatura e di ricucitura per raggiunger­e il senso di trasparenz­a e di profondità spaziale. In molti casi è visibile anche il disegno preparator­io».

Un’opera raffinatis­sima, con rimandi allo stile aulico dei precedenti affreschi vaticani, dove è evidente il fascino dell’antico, il gusto classico nei particolar­i architetto­nici, come le nicchie marmoree disposte a inquadrare i santi e colpisce in particolar­e la figura della Madonna in un baldacchin­o in oro zecchino inciso con maestria unica. Il largo utilizzo di oro zecchino e di lapislazzu­li, tra le passioni dei Medici, in tutti gli azzurri, nella varietà molto preziosa provenient­e dalle cave dall’Afghanista­n, testimonia­no il gusto di una committenz­a facoltosa e prestigios­a come Cosimo il Vecchio.

Fu lui a voler ristruttur­are il convento francescan­o di San Bonaventur­a al Bosco ai Frati, vicino alla villa medicea di Cafaggiolo dopo che era stato abbandonat­o a causa della peste. Per farlo chiamò nel 1438 Michelozzo, l’architetto prediletto a cui si deve la trasformaz­ione, insieme all’Angelico, del convento di San Marco che diventerà, scrisse Vasari, «il meglio inteso e più bello, e più comodo per tanto che sia in Italia». Una trasformaz­ione che continua oggi in un’oasi di pace e di serenità.

❞ Angelo Tartuferi Qui una mirabile sintesi tra la sfarzosità medicea e la semplicità francescan­a

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 ??  ?? Gallery Dall’alto: la Pala restaurata, il confronto con la «Madonna delle Ombre» e, accanto, Simonetta Brandolini d’Adda, Angelo Tartuferi, Lucia Biondi e Stefano Casciu
Gallery Dall’alto: la Pala restaurata, il confronto con la «Madonna delle Ombre» e, accanto, Simonetta Brandolini d’Adda, Angelo Tartuferi, Lucia Biondi e Stefano Casciu
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