L’OCCASIONE PERSA DELLA CITY
Il fatto che molti imprenditori immobiliari giustifichino la scelta di destinare storici immobili del centro di Firenze a finalità turistiche con la mancanza di istituti di credito o assicurativi disposti a rilevarli merita una riflessione non prevenuta. Può darsi che questo argomento sia usato talora come alibi, ma sarebbe difficile negargli un fondo di verità. Un tempo per una banca, una grande azienda avere sede in un immobile di pregio del centro storico, accanto ai grandi «palazzi del potere», era qualcosa di più di una scelta logistica: era una dimostrazione della propria solidità economica e della propria autorevolezza. Basti pensare alla collocazione parallela, in via del Corso e in via Bufalini, delle sedi centrali della Banca Toscana e della Cassa di Risparmio, quest’ultima realizzata negli anni 50 accanto allo Spedale di Santa Maria Nuova con una geniale soluzione progettuale dell’architetto Michelucci. Ma anche per molte altre aziende una sede nel cuore della città era un blasone di fiorentinità. Erano gli anni in cui Bargellini considerava «tradimento» il trasferimento della casa editrice Bonechi dal centro a un moderno villino a Campo di Marte. Nemmeno l’Alluvione, che ferì il centro storico, fece registrare un’inversione di tendenza. Certo, in una raccolta di opinioni sul futuro della città pubblicato dalla Vallecchi nel gennaio del 1967, con il titolo di «Firenze domani», un urbanista di vaglia come Edoardo Detti auspicava la formazione di un centro direzionale esterno, che avrebbe dovuto accogliere funzioni sia economiche sia culturali.
Ma, come dimostra l’iniziale fallimento di Firenze Nova, l’attrazione del centro storico rimase forte, per le imprese come per i fiorentini: come lamentava lo stesso Detti, il cuore della città era all’epoca sovrappopolato, all’opposto di oggi. E ancora alla fine degli anni 70 l’Associazione Industriali di Firenze commissionava a un giovane docente di Economia e Commercio, Piero Innocenti, un documentatissimo studio, intitolato «L’industria nell’area fiorentina», che lanciava lo slogan di «Firenze come City» e la proposta di rivitalizzare l’area compresa nei viali di circonvallazione come centro direzionale invece di «spostare il baricentro della città nelle zone di Castello-Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio, condannando al silenzio e alla fossilizzazione quella parte di Firenze che ha sì i monumenti, ma ha avuto sempre il merito di farli vivere». Il professor Innocenti si poneva già il problema delle dismissioni dell’Ospedale Militare e delle caserme, e sperava che le belle ville nella cintura dei viali e i prestigiosi palazzi del centro avrebbero potuto attirare anche i centri direzionali di aziende di altre città. La proposta, avallata dalla prefazione dell’allora presidente Ginolo Ginori Conti ha avuto l’esito che conosciamo. Invece che una City attrattiva per imprese di tutta Italia, il centro di Firenze è diventata una «città degli shot» attrattiva per il turismo di massa. Senza rivangare gli errori commessi, resta lecito chiedersi se sottovalutando quella proposta Firenze non abbia perso quarant’anni fa una grande occasione.