La livornese Vecchi alla terza Olimpiade «Stavo per smettere»
Irene Vecchi, alla terza Olimpiade: «Stavolta posso farcela»
Aveva 23 anni quando ha scoperto la pedana olimpica a Londra, arrivando ai quarti di finale del torneo individuale. Ne aveva 27 quando ha disputato i suoi secondi Giochi a Rio, finendo quarta nella competizione a squadre. Adesso Irene Vecchi, classe 1989, livornese di scoglio come ama definirsi, atleta tesserata Fiamme Gialle e simbolo della sciabola toscana insieme ad Aldo Montano, ci riprova a Tokyo. Puntando all’obiettivo finora sfuggito: il podio.
Irene, che il terzo tentativo sia quello buono?
«Diciamo che io ci ho sempre provato, adesso ho sicuramente un maggiore bagaglio di esperienza. Spero di tornare a casa con qualcosa di importante».
Londra 2012: cosa ricorda dell’iniziazione olimpica?
«Londra è stata speciale che mi porto nel cuore. All’esordio ho avuto subito la possibilità di andare a giocarmi una medaglia, è là che ho acquisito la consapevolezza di essere cresciuta. Se non ci fosse stata quella conferma, tutto il resto non sarebbe venuto».
A Rio 2016 è arrivata la medaglia di legno a squadre.
«Rio l’ho vissuta in maniera diversa. Gareggiai nell’individuale al di sotto delle aspettative. Poi il quarto posto a squadre, complice un arbitraggio a noi sfavorevole, fu come una sassata. Qualcosa che ti sogni la notte, che ti porti dietro tutta la vita».
Cosa è accaduto subito dopo l’Olimpiade brasiliana?
«Ho deciso di attuare un cambio drastico, ho fatto una grossa scommessa su me stessa. A me non piace vivacchiare. Non mi divertito più, pensavo di smettere, poi mi si è accesa la fiammella. Ho cambiato città, mi sono trasferita a Frascati, ho cambiato allenatore (Andrea Aquili, ndr), metodo di allenamento. Non perché a Livorno non stessi bene, ma arriva un momento in cui avverti il bisogno di novità. A 27 anni non è stato facile. L’anno dopo ho vinto il bronzo al Mondiale e con la squadra abbiamo conquistato il titolo iridato».
Adesso Tokyo. Quali saranno le avversarie da battere a livello individuale e di squadra?
«A oggi le favorite sono le prime tre del ranking mondiale, l’ucraina Olga Kharlan, la russa Sofya Velikaya e la francese Manon Brunet. Ma l’Olimpiade è una gara a sé, quest’anno lo sarà ancora di più. Io scenderò in pedana con la serenità di aver dato tutto, già il fatto che ci scommetta io è importante, anzi direi fondamentale. Lo stesso faranno le mie compagne, Rossella Gregorio, Martina Criscio e Michela Battiston.
Siamo una bella squadra. Ce la giocheremo soprattutto con Russia, Francia e Ungheria. Avendo dalla nostra tanta esperienza in più».
Tutti parlano del Dream Team, il fioretto femminile azzurro, e poco della sciabola. Questo vi disturba?
«Il fioretto ha una maggiore longevità, è il capostipite delle varie armi. E le nostre ragazze partiranno da favorite anche a Tokyo. Noi ci posizioniamo un po’ più sotto. Ma abbiamo dimostrato di sapere stare ai vertici mondiali».
Cos’è per Irene Vecchi la sciabola?
«Una passione, una rivincita. Non ho le caratteristiche innate della sciabolatrice, sono un’introversa, una persona tranquilla. Ma quando butto giù la maschera viene fuori un’altra parte di me. La sciabola è il primo amore che non si scorda mai».
Qualcuno parla di Irene Vecchi come atleta dalle straordinarie qualità che però si smarrisce mei momenti cruciali...
«Si, in certe occasioni avrei potuto dare di più. Sono una ragazza più emotiva di tante altre. Ma ho anche dimostrato di poter dare la spinta giusta, quando serve».
La terza Olimpiade è un traguardo di prestigio. Per caso ha in mente di eguagliare il suo concittadino Aldo Montano?
«Ho imparato che più programma fai, peggio è. Aldo è un simbolo della scherma, un capitano a tutti gli effetti. Anche oggi si vede che soffre dopo un allenamento, che non ha più la freschezza di prima, ma dimostra sempre di essere un talento sconfinato, un esempio. Magari mi farò trainare dal suo entusiasmo...».
In pedana
Questa disciplina è il mio primo amore. Sono riservata, ma quando butto giù la mascherà...