Il Comunale finito in macerie, insieme ai ricordi
Le ruspe stanno abbattendo il Teatro Comunale a Firenze, è vincolata solo la facciata, dove nasceranno appartamenti di lusso. E di quella che dal 1933 è stata la casa del Maggio Musicale, il teatro nato a metà Ottocento e dalla vita non fortunata, resterà solo una memoria. Un luogo dei ricordi e della cultura, che meritava un futuro diverso.
Pietà l’è morta. Anzi, morto. Il vecchio Teatro Comunale di fatto non c’è più. Quasi inutile tentare di scorgere qualche traccia di antiche vestigia nei lavori in Corso Italia. Se ne va non solo un pezzo della memoria fiorentina del Novecento per lasciare il posto a qualche traccia preoccupazione per il futuro. E insieme mille domande. Una per tutte. Non detta, ma sussurrata. Era davvero così importante costruire un altro teatro (del quale si contano a oggi quattro o cinque inaugurazioni, una per ogni step con la realizzazione dell’opera ancora non conclusa, neanche si trattasse della Sagrada Familia a Barcellona)? E se anche fosse così, c’era una qualche alternativa alla messa all’asta, più volte deserta fino all’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, per l’uso di quei volumi e di quell’area?
Con il senno del poi è difficile rispondere a queste domande. Tuttavia, senza cedere troppo all’amarcord delle serate con la direzione di Gui, Muti, Mehta, Giulini, Ozawa, Abbado, Bichkov, Chung e chi più bacchette ha più ne metta, quella vecchia arena all’aperto poi coperta ha segnato ogni fiorentino che oggi abbia almeno quarant’anni. Le aree, i volumi da dismettere hanno una loro propria vocazione. Di ciò che è stato il cuore pulsante della musica a Firenze, fin dalla nascita del Festival del Maggio nel 1933, non pare che resterà granché. Passi per la grande sala coperta da quel cielo stellato del «soffittone», destinata ad alloggi di lusso, ma perché sacrificare il Piccolo Teatro, cioè il «ridotto» del Comunale: 400 posti utili non solo per lo spettacolo? E se la memoria di ciò che è stato doveva essere conservata, che fine hanno fatto i magici lampadari del foyer, alcuni dei quali visti in esposizione all’ultima Biennale dell’Antiquariato? Senza parlare degli arredi di design dei quali sarebbe interessante conoscere la sorte. Oppure della targa che intitolava la sala ballo a Evghenij Polyakov, uno dei più geniali coreografi del secolo scorso.
Ora sulle vestigia del vecchio Teatro Comunale, rottamato con molte delle sue maestranze, sorgeranno appartamenti difficilmente destinati a una residenza stabile nel centro e, più probabilmente, utili a scopi turistici nonostante una intensa presenza di alberghi nell’arco di cento metri. Tutto questo nonostante un divieto di destinazione ad altro uso della Soprintendenza che tuttavia all’epoca si affrettò a specificare che oggetto del vincolo era solo la facciata di Corso Italia, peraltro una delle più anonime che un teatro d’opera possa vantare.
Certo, riammodernarlo sarebbe stata impresa improba. A cominciare dalla bonifica dall’amianto che comunque è un onere anche per quello che sarà il suo futuro, disegnato quando Firenze poteva pensare ancora di essere la miniera senza fondo di un turismo in grado di accogliere torpedoni e magnati. A poche centinaia di metri sorge il suo erede, proprio a fianco di quelle Officine Grandi Riparazioni che le ultime notizie sulla loro destinazione ci imporrebbero di riflettere su un disegno della città un po’ diverso da come potevamo concepirlo prima della pandemia. Ma ormai ciò che è stato è stato.
Non resta che confidare sul fatto che il vecchio e il nuovo possano rappresentare due monumenti al ripensamento del futuro della città, che oggi non può più permettersi di sprecare superfici e volumi e di immaginare il proprio sviluppo con i parametri di 20 anni fa. Il nuovo teatro, molto simile al suo quasi coevo Teatro dell’Opera di Oslo, è intanto lì a interrogarci con una imbarazzante domanda. Ne valeva davvero la pena?
❞ Qui si è esibito il meglio della musica mondiale, eppure di tutta quella bellezza rimarrà forse soltanto il cielo stellato del «soffittone»