Mogli e figli in corteo «La nostra lotta, anche contro la disperazione»
Laura: famiglie distrutte ma sono storie di lotta, non di disperazione
Avanzano con il pugno alzato, urlano più che possono. Hanno tutte la maglietta nera del Collettivo di fabbrica. Laura, Nadia, Marzia, Sandra, Barbara, Antonella, Silvia, Eliana. Sorreggono uno striscione giallo con su scritto «Coordinamento donne Gkn» e l’immagine presa da un manifesto femminista di una donna che, come loro, ha il pugno alzato. Sono le mogli e le compagne degli operai, sono scese in piazza insieme ai loro mariti e ai loro compagni. «Questa lotta ci riguarda». Insieme a loro ci sono i figli, tre bambini con le trombette in mano. Una delle donne ha una maglietta con un disegno di Frida Kahlo, altre due hanno una t-shirt con scritto «Cantieri sociali Camilo Cienfuegos», in riferimento al centro sociale di Campi Bisenzio.
Le madri saltano al ritmo dei tamburi, poi ballano in cerchio, si abbracciano. Quando dal palco gli operai gridano «stop ai licenziamenti», anche loro, proprio sotto al palco, gridano e applaudono. E sorridono, sorridono sempre. «Perché questa battaglia la affrontiamo col sorriso sulle labbra, senza pietismi ma con grinta».
C’è Nadia, insegnante di professione. Ha i capelli rossi e le braccia piene di tatuaggi. «Quando è arrivata la notizia del licenziamento, io e mio marito eravamo in casa a fare colazione, per fortuna i nostri figli stavano dormendo. Mio marito, appena ricevuta la notizia, è uscito di corsa da casa per andare ai cancelli della fabbrica. Era incredulo. E anch’io ero incredula, mi sentivo davvero persa». Poi però ha reagito: «La sera ho raggiunto mio marito in fabbrica insieme ai nostri figli, ho deciso che non mi voglio piangere addosso, al contrario voglio dare la forza di combattere a mio marito». Anche uno dei loro figli, ieri mattina, ha partecipato alla manifestazione. «Ai bambini ho spiegato che il babbo ha perso il lavoro, abbiamo detto loro che in questo momento la fabbrica è chiusa e che per difenderla ci possiamo mangiare e dormire dentro». I questi giorni Nadia non vede quasi mai suo marito, che è sempre allo stabilimento di Campi a presidiare la situazione: «Ci vediamo il giusto, e ogni volta che ci vediamo cerchiamo di sorridere, e magari parliamo d’altro, per provare a sdrammatizzare».
«Non siamo storie di disperazione, ma uomini e donne che sono parte integrante di una lotta contro la barbarie delle leggi che hanno permesso di distruggere non solo la Gkn ma intere aziende e intere famiglie» dice Laura, un’altra delle manifestanti. Ha un fischietto a tracolla e una mascherina rossa. «Per fortuna io lavoro come impiegata, altrimenti sarebbe stato ancora più difficile. Quando è arrivata la notizia del licenziamento ero allibita, mi è crollato il mondo addosso, la vita ci è cambiata da un’ora all’altra. Sono entrata in una bolla di sapone, il mondo andava avanti ma io restavo ferma».
Marzia invece quando ha ricevuto la notizia dei 422 licenziamenti della Gkn era al mare con la figlia e i nonni: «Il mio compagno stava per prendere il treno, ci avrebbe raggiunto al mare per il fine settimana. Invece quel treno non l’ha mai preso». E allora anche lei ha deciso di lasciare il mare e tornare a Firenze: «Non potevo lasciare solo il mio compagno in questa lotta. Ho spiegato a nostra figlia quello che è successo, lei è piccola ma ha capito che siamo di fronte ad una grande ingiustizia». A casa suo padre torna raramente, dorme poche ore per notte perché è sempre in fabbrica: «Ma non ci demoralizziamo, andiamo noi da lui e ceniamo in fabbrica tutti insieme».
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