La ricerca di uno Spirito, in ogni piazza
L’evoluzione di Firenze vista attraverso i suoi luoghi di incontro, nel corso dei secoli
Repetita iuvant. Tornare a parlare di piazza Santo Spirito senza un evento scatenante, senza i cordoni strappati, ambulanza intrappolata, senza un motivo contingente, ma in nome della sua presenza storica nel tessuto della città. Qual è il senso di una piazza? Che ruolo ha nell’ordito urbano? Cosa ci dicono le sue prospettive e i suoi monumenti?
La scheda su Piazza Santo Spirito nel Repertorio delle architetture civili di Firenze a cura di Claudio Paolini afferma che la denominazione della piazza è attestata «fin dalla fine del Duecento e trova ragione nella titolazione della grande basilica dei frati agostiniani… che divenne ben presto il cuore del rione… L’Ordine, ugualmente dedito alla predicazione, operò nel tempo per la sistemazione di una piazza funzionale alle adunanze di popolo», dove, come documenta alla metà del Cinquecento l’affresco di Giovanni Stradano in Palazzo Vecchio, durante la domenica di Pentecoste, per tutta l’ampiezza dello sterrato, si accendevano fuochi, a imitazione delle fiammelle dello Spirito Santo discese sugli apostoli.
La chiesa, la cupola, la sacrestia, il campanile… le firme dei grandi del Rinascimento, da Brunelleschi a Salvi d’Andrea, Giuliano da San Gallo, Baccio d’Agnolo. Tra la fine del 1565 e marzo 1566 vi culminarono i festeggiamenti per le nozze tra Francesco I de’ Medici e Giovanna d’Austria con la sacra rappresentazione finale della Annunciazione. Ancora, in questa piazza e in questa basilica fece sosta papa Pio VII nel 1804, accolto da Mons. Alartini, negli anni della reggente Maria Luisa. Nata come spazio per le prediche dei frati agostiniani, piazza Santo Spirito è stata spesso cornice di feste ed eventi pubblici, per una sua naturale vocazione, baricentro di questa parte della città, spazio formale della comunità insediata. Le piazze infatti sono il punto in cui si realizza l’intersezione di storia civile, movimenti culturali, tendenze artistiche, cultura materiale, immaginazione collettiva, proiezioni simboliche, ritualità consolidate, tradizioni e consuetudini.
Si deve a Camillo Sitte, urbanista austriaco di fine Ottodiventò cento, uno studio sul rapporto tra la piazza, gli edifici che la circondano ed i suoi monumenti: piazza come simbolo di democrazia, perché luogo di incontro pubblico; piazza come salotto; piazza come specchio della cultura di un popolo, anche in un percorso di rigenerazione urbana.
«Ci vediamo in piazza», là dove la piazza per antonomasia è piazza della Vittoria: così si danno appuntamento gli studenti del Regio Liceo Ginnasio Dante e qui si consumano gli incontri che segnano una vita, si sogna, si gioca... Sono piazze ecclesiastiche quelle di Santa Maria Novella e di Santa Croce e piazza della SS. Annunziata, chiusa nell’abbraccio della basilica, dell’ospedale degli Innocenti, del Loggiato dei Serviti. Sede del potere civile, piazza della Signoria era, invece, luogo delle pubbliche esecuzioni: qui, il 23 maggio 1498 Girolamo Savonarola fu impiccato e bruciato per eresia, insieme ai suoi due confratelli Frate Domenico Buonvicini e Frate Silvestro Maruffi. Era detta, prima, piazza del Granduca, come racconta Giuseppe Conti nel 1899: chiusa tra la porta della Dogana, le Logge dell’Orcagna, la Meridiana e la Vecchia Posta, era, per tutto il giorno, teatro di saltimbanchi, ciarlatani, barattieri, orologiari… fino alla «ritirata», mezz’ora prima delle ventiquattro, quando la compagnia che montava in Palazzo Vecchio, allo scocco dell’Ave Maria si metteva a rango per la preghiera tra il saluto con la sciabola, i soldati col fucile a pied’arm e la mano sinistra al casco, e i rulli della la batteria dei tamburi
La piazza del Mercato vecchio era, invece, cresciuta spontaneamente intorno alla colonna, tra cardo e decumano, dove, in antico, si davano i tratti di corda ai delinquenti col corpo del delitto addosso:
poi il cuore economico della città, tra beccherie, rosticcerie, botteghe di semplicisti, vinattieri e vermicellai. Quella che è oggi piazza della Repubblica, spazio progettato e modellato a fine Ottocento secondo criteri di eleganza rispondenti alle ambizioni dell’emergente classe borghese, si vestì così di un vago sapore europeo, diventando punto focale del piano di risanamento del centro, che cancellò il Ghetto e creò un nuovo ambiente, in cui celebrare la consuetudine della passeggiata e del caffè all’aperto, rito alla moda per vedere ed essere visti. Negli stessi anni, nasceva piazza D’Azeglio, la piazza giardino sul modello degli «squares» inglesi, costruita sugli Orti della Mattonaia, con il teatro «Principe Umberto», distrutto da un incendio, e il giardino con la vasca al centro: impegnata nelle esigenze funzionali conseguenti al nuovo ruolo di effimera capitale, Firenze affidò a Giuseppe Poggi l’urbanizzazione di questa parte della città, una delle realizzazioni più significative del piano di espansione urbana occupata da terreni ortivi.
Piazze politiche, centri di vita economica o teatri di attività religiosa, ricamate dai portici o imperniate sulla fontana, piazze scenografiche, monumenti di se stesse, prospettive sulla cultura e la storia delle città: in particolare, la storia di Piazza Santo Spirito è la chiave di lettura dei costumi che cambiano, come la vecchia casa protagonista del meraviglioso libro di Sebastiano Vassalli, Cuore di pietra.
La piazza delle origini era uno spazio libero da ogni ostacolo che potesse impedire le predicazioni, le sacre rappresentazioni, le sagre tradizionali e le feste profane: ma era una piazza religiosa. Ai primi dell’Ottocento, l’architetto Giuseppe Del Rosso, dimenticato lo spirito dei primi tempi e la vocazione della piazza, vi pose in mezzo la fontana, che si trovava nel primo chiostro del convento. Poi, come raccontano le fonti, «attorno alla piazza venne allevato uno stento giardino, il cui verde attrasse le labbra dei ciuchi attaccati ai carretti degli ortolani, che ogni mattina tenevano sulla piazza il loro mercatino».
Il resto è storia di oggi. In piazza Santo Spirito, si consumano i bracci di ferro tra i residenti e gli animatori della vita notturna e si sperimentano compromissori tentativi di arredo urbano, guadagnando gli onori della cronaca per il degrado, il rumore, l’incuria. In questo reciproco j’accuse, la basilica guarda, severa, circondata dal trionfo dell’effimero, nel suo ruolo di ultimo silenzioso baluardo della civiltà e della storia.
Con la fontana nell’800 viene meno la vocazione al sacro delle origini Poi il giardino e i carretti con i ciuchi Oggi la movida e l’incuria... Attraverso i secoli possiamo leggere come cambiano i costumi