QUEL GIORNO IN CUI FIRENZE SI RISCOPRÌ CONTEMPORANEA COL BINOMIO ARTE-MODA
Fu una botta di contemporaneità e futuro quasi mai vista prima: per tre mesi Firenze venne proiettata in una dimensione internazionale. Il 21 settembre di venticinque anni fa si inaugurava la prima Biennale di Firenze «Il tempo e la moda», un evento dedicato al rapporto creativo fra l’universo degli stilisti e le arti visive: architettura, pittura, cinema, design, fotografia, musica. L’idea era maturata nei due anni precedenti in un contesto di discussioni creative fra Germano Celant, Ingrid Sischy e Luigi Settembrini, che di quella prima edizione sarà l’amministratore delegato. Venne costituita un’associazione culturale per realizzare l’evento, con il sindaco di Firenze Mario Primicerio chiamato a fare da presidente e due vice di grande prestigio come Gae Aulenti e Vittorio Rimbotti. L’organizzazione era una macchina ben strutturata con corrispondenti da New York e un importante ufficio stampa diretto da Guido Vergani.
Il gusto dell’avventura e la competenza dei promotori portò ad esplorare la possibilità di una grande mostra contemporanea, nella città più adatta a rendere la moda un mezzo espressivo poliedrico, facendo lavorare insieme stilisti designer. Grazie alla disponibilità dei soprintendenti e dei direttori di quel tempo vennero messi a disposizione i musei più prestigiosi di Firenze e Prato: Uffizi, Cappelle Medicee, Specola, Galleria dell’Accademia, Pecci, ma anche Palazzo Pitti e Forte Belvedere con gli allestimenti di Gae Aulenti, Arata Isozaki, Adolfo Natalini.
Nelle sette sezioni nelle quali si articolò la Biennale, una delle quali aveva come titolo «Elton John Metamorphosis», parteciparono molti protagonisti del linguaggio delle arti, come Roy Lichtenstein esponente della Pop Art. Fu della partita pure David Bowie con i suoi disegni di alieni, mentre il mondo della moda riuniva in città Yves Saint Laurent, Giorgio Armani, Valentino, Karl Lagerfeld, Miuccia Prada e altri ancora. Venne reso omaggio a Emilio Pucci con una retrospettiva allestita da Pierluigi Pizzi nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. Uno studio della Bocconi calcolò la presenza di centoquarantamila visitatori e mille giornalisti a fronte di quasi centocinquanta espositori, ma la cosa straordinaria, in un tempo che ancora non conosceva i social, fu la stima che seicento cinquanta milioni di persone nel mondo erano venute a conoscenza di questo avvenimento. Tutto bene dunque? Vi furono anche critiche — a Firenze poi non mancano mai — ma lo sforzo organizzativo avrebbe richiesto risorse finanziarie di cui il contesto territoriale non disponeva, nonostante l’impegno di Regione, Comune, Camera di Commercio, delle categorie economiche di Firenze e Prato, del Centro di Firenze per la Moda Italiana e dell’Ente Cassa di Risparmio. Le perdite che gravarono sull’associazione resero necessaria la sua trasformazione in società per azioni per gestire il secondo evento del 1998. Alla presidenza venne chiamato Leonardo Mondadori, ma la nuova Biennale dedicata alla moda e al cinema non brillò e l’esperienza finì lì.
Fu un peccato perché l’ispirazione era giusta e poi gli eventi magari si modificano e si adattano, mentre la toccata e fuga non è bella e soprattutto non è utile.
A distanza di venticinque anni si può dire che si trattò di un progetto carico di innovazioni, nella migliore tradizione del Rinascimento che fu un’epoca di grandi sperimentazioni e conquiste. Non ci fu consapevolezza, invece, che potesse trattarsi di un investimento per l’economia del territorio. Qualcosa però è rimasto come eredità: da quel momento arte e moda fanno coppia fissa.
Toccata e fuga In un’epoca in cui non c’erano i social, 650 milioni di persone vennero a conoscenza dell’evento, di cui però ci fu soltanto un bis