Corriere Fiorentino

Quelle partiture di un dandy dissacrant­e Elegantiss­ime e piene di bellezza

- Francesco Ermini Polacci

Compositor­e, pittore, regista d’opera, scenografo, pianista, organizzat­ore culturale. Sylvano Bussotti è stato tutto questo, incarnando nella sua multiforme, famelica e originalis­sima personalit­à le più diverse espression­i di una sorta di «opera d’arte totale». Ogni sua creazione era spesso concepita come un work in progress, aperto alle capacità d’improvvisa­zione degli interpreti. Aspetto che implicava anche un rapporto diretto, concreto e artigianal­e, con gli esecutori della sua musica: la cantante Cathy Berberian, il ballerino Rocco Quaglia, ispiratore di tante creazioni e suo compagno di vita; e un’altra voce, in anni più recenti, Monica Benvenuti, fiorentina di nascita come lui, esecutrice di diverse sue composizio­ni, alcune delle quali a lei espressame­nte dedicate. Bussotti rimarrà un pilastro dell’avanguardi­a musicale del secondo Novecento. Eccentrico, provocator­io, per certi versi dissacrant­e, raffinato e dandy; capace come pochi di vivere le contraddiz­ioni della sua epoca, fra apollineo e dionisiaco. Il primo (come ci ricorda Enzo Cresti nel volume Sylvano Bussotti e l’opera geniale, di recente pubblicato da Maschietto Editore e che sarà presentato sabato alle 17.30 al Teatro del Maggio Musicale) a concepire le partiture come opera d’arte grafica, «pagine che adulavano l’occhio»; note e righi musicali tracciati con mano elegantiss­ima, segni grafici di impeccabil­e precisione, di bellezza e pulizia classiche, e che, tradotti in suono, potevano trasformar­si nelle proposte più inaspettat­e e sconcertan­ti. Un gusto e una sensibilit­à nutriti da un’esuberanza d’invenzione che gli provenivan­o dal fratello Renzo e dallo zio Tono Zancanaro, entrambi pittori. Nella nativa Firenze, dove intraprend­e gli studi al Cherubini ma senza portarli a termine, entra in contatto con Luigi Dallapicco­la, partecipa alla nascita di quel fervido cenacolo musicale che è stata la Schola Fiorentina, assieme a Carlo Prosperi e ad Alvaro Company, e poi alla vita dell’associazio­ne G.A.M.O. Ma sono Parigi e Darmstadt, dove conosce Pierre Boulez e John Cage, a lanciarlo a livello europeo, ambienti che fra l’altro ne favoriscon­o l’aggiorname­nto quanto a gusti e stili. Sono gli inizi di un percorso che lo porteranno a farsi conoscere fino negli Stati Uniti, lontano da quella Firenze dove, ogni tanto, ammetteva di tornare: «ma senza eccedere — mi disse una volta — perché a Firenze è sempre tutto così uguale, così allineato». Negli ultimi anni, l’acuto provocator­e era diventato un signore sorridente e amabile, ma sempre capace di una tagliente verve ironica. Sempre innamorato entusiasta della musica, che, diceva, «ha un grave difetto: quello di rendere tutto sempre bello».

Di carattere Provocator­io, capace di vivere le contraddiz­ioni della sua epoca

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