Don Divo Barsotti, il «folle di Dio» verso la beatificazione
Dopo il cardinale Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni e Giorgio La Pira, un’altra figura di primo piano della chiesa fiorentina del Novecento si avvia a diventare beato. Si tratta di don Divo Barsotti, uno dei maggiori mistici dell’Occidente. Sarà il cardinale Giuseppe Betori a presiedere sabato prossimo alle 16, nella basilica della Santissima Annunziata, la cerimonia che darà il via alla causa di beatificazione di don Barsotti, nato nel 1914 a Palaia, in provincia di Pisa, ma poi trasferitosi a Settignano, sulle colline di Firenze, in un piccolo eremo intitolato a San Sergio di Radonez, figura eminente del monachesimo russo.
E a Settignano i monaci della comunità dei figli di Dio, fondata da don Barsotti nel 1948 (motto racchiuso in tre parole: «Cerco solo Dio») in questi giorni fanno festa, nonostante l’austerità della vita monacale: telefono ridotto al minimo (mezz’ora la mattina e mezz’ora la sera), niente tv, preghiera e studio. Si racconta ad esempio che don Divo si coricasse ogni sera alle 21 per poi alzarsi alle 2 nel cuore della notte.
Barsotti si convertì al cristianesimo sotto l’influsso dei classici russi («Dio si introdusse furtivamente nella mia vita attraverso la grande opera di Dostoevskij», ha scritto) e a undici anni entrò in seminario e fu ordinato sacerdote il 18 luglio 1937. Ma fu una scelta un po’ casuale. Sì, perché il giovane Divo puntava a fare lo scrittore di novelle e ne inviò una raccolta a Mondadori. Spiegando nel suo diario che se l’editore le avesse pubblicate avrebbe significato che «Dio mi chiama nel mondo» altrimenti «a 24 anni farò voti di castità, povertà, umiltà e obbedienza». Mondadori non pubblicò le novelle e anziché scrittore Divo divenne prete. Senza abbandonare la sua passione e inclinazione per la scrittura, come sottolinea il suo biografo Andrea Fagioli, autore del libro «Don Divo Barsotti. Cercatore di Dio», Sef editrice, «al punto di poter annoverare almeno 500 titoli tra libri e saggi, spaziando dalla liturgia alla dogmatica, dalla vita spirituale al monachesimo russo, dalla spiritualità francescana alla poesia, dalla teologia dei grandi santi carmelitani all’escatologia, dalla preghiera all’agiografia».
Emarginato nella sua diocesi di San Miniato, don Barsotti approdò a Firenze al seguito di Giorgio La Pira e del suo mondo di «folli di Dio», da padre Ernesto Balducci a don Lorenzo Milani, dai quali però marcò subito le distanze. «Per don Divo il centro era Dio, non comprendeva i preti impegnati socialmente», spiega Fagioli. Lo legò ai folli di Dio non solo il riferimento a La Pira ma anche la circostanza che entrò spesso in collisione con vescovi e papi, anche per il suo carattere «forte, passionale, autentico». Subì censure e provvedimenti repressivi dell’autorità ecclesiastica del tempo. Nel 1971 Paolo VI lo chiamò a predicare gli esercizi spirituali per la curia romana, un invito che colmava ferite aperte. Anche se poi Paolo VI non lo nominò vescovo di Firenze, come aveva proposto il cardinale Ermenegildo Florit. Restava forse il sospetto e la diffidenza.
Così come mutarono in peggio i rapporti tra le altre figure scomode del cattolicesimo fiorentino e don Barsotti sempre più centrato nella sua ricerca di Dio. Il suo misticismo lo fece diventare molto amico di Papa Ratzinger. Morto nel febbraio del 2006, la visione spirituale di don Barsotti raccoglie, per un singolare paradosso, sempre più favori nella Chiesa di Papa Francesco che privilegia molto la dimensione sociale.