«Le città unite sono un fattore nuovo, un binario due per la diplomazia»
Il politologo Tassinari (Istituto Europeo): hanno influenza e capacità di aggregazione
Fabrizio Tassinari, politologo, direttore esecutivo della School of Transnational Governance presso l’Istituto Universitario Europeo, sabato non era in piazza Santa Croce, ma a Berlino, davanti alla Porta di Brandeburgo dove 60 mila persone hanno chiesto la pace, come a Firenze.
Professor Tassinari, l’iniziativa per la pace della città, ha avuto successo. Perché?
«La prima considerazione è che le città hanno una capacità di aggregazione, una vicinanza quasi emotiva, umana, che altre non realtà non hanno. La seconda, è che in ambito europeo le città hanno influenza in campo diplomatico e su come le decisioni ed i processi vengono deliberati. In particolare reti come Eurocities, con 200 città in 38 Paesi, aprono a nuovi scenari».
È realistico un ruolo anche in campo diplomatico?
«È chiaro che una città non può sostituirsi allo Stato, un sindaco non può fare da mediatore in un conflitto, né può farlo un governatore di Regione, governatori di cui tra altro dal 2004 Putin in Russia ha abolito l’elezione diretta con uno dei primi atti di rafforzamento del proprio potere... C’è però in diplomazia quello che gli inglesi chiamano “binario 2” e cioè le relazioni umane, gli scambi, i gemellaggi, dove le città hanno un ruolo importante».
Anche la cultura può essere un ponte.
«Lo è infatti. La cultura è cruciale per formare nuove mentalità, basta pensare alla “generazione Erasmus” di cui anche io faccio parte; come lo è l’istruzione, la formazione. Lo è se non si accettano censure. Pochi giorni fa a un convegno on line dell’Università di Firenze sul digitale, oltre a me c’era come relatore un professore russo; io ho detto che avrei parlato anche della guerra e non c’è stato alcun problema, anzi il docente da Mosca ha detto che non si riconosceva nella guerra e con coraggio la ha condannata».
Tornando alle città, al loro rapporto con l’Unione Europea e l’Europa, questo canale può diventare strutturale?
«Ritengo che debba diventare la norma. Le città sono transnazionali, non si sostituiscono allo Stato cioè ma possono fare più cose, hanno competenze e conoscenze specifiche. Penso anche al Pnrr
la cui attuazione non può avvenire senza Regioni e città come attori proponenti. E non si tratta di una rivoluzione copernicana, ma di attuare quello che c’è già».
L’Ue riconoscerà questo ruolo?
«All’interno dei principi giuridici dell’Unione e Europea c’è la sussidarietà, cioè la politica e l’azione più vicina possibile al cittadino. E finanziamenti e misure ricadono sulle amministrazioni locali. In questo caso il processo è invertito: le città sono propositrici di istanze, non le ricevono. E se si mettono assieme possono essere un attore nuovo nello scenario internazionale, anche nella tragica crisi apertasi il 24 febbraio. Si è visto un grande spirito di accoglienza nelle città».
Firenze, le altre città, hanno le competenze per ruoli transnazionali?
«Hanno già competenze su accoglienza, sanità, ecologia, che lo Stato non può approfondire allo stesso modo, competenze che vanno implementate. E alle città, non tutte sono metropoli, vanno forniti gli strumenti per gestire questi temi».
E per le crisi?
«Il buon governo oggi è così complesso che nemmeno gli Stati da soli possono portare avanti le politiche di programmazione. Non a caso da venti anni si parla di necessità di legare di nuovo al territorio le politiche, sennò si scontrano con la vita reale. E noi come School of Transnational Governance abbiamo un programma con Eurocities, che si terrà a Firenze a maggio, proprio sulle città come “attori nelle crisi”, che era focalizzato su ecologia e pandemia e a cui aggiungeremo la crisi ucraina».
Sul campo Non possono sostituirsi a uno Stato o diventare mediatrici in un conflitto, ma hanno influenza. Basti vedere quanto stanno facendo per accogliere