Le armi, la Resistenza e gli Usa tornano nella Casa del Popolo
«Questa è una guerra degli americani». «E a noi chi ci ha liberati?»
VERGAIO (PRATO) Sta ancora fianco a fianco il mondo della sinistra toscana che fu, nella Casa del Popolo di Vergaio. Dove coesistono in pochi metri il circolo Arci, una sede del Partito democratico, le sale per giocare a carte, un bar e persino la Coop, che è al piano terra del caseggiato a fianco. Tra il pianoforte a muro e il bancone, a pochi metri dal frigo dei gelati, stanno in cerchio sette anziani. A discutere della guerra ucraina, dell’opportunità «di mandare le armi», del parallelo tra quella e la nostra Resistenza. E delle contrapposizioni che sembravano saltare fuori dai cassettoni di un passato remoto: «I russi, i russi, gli americani?!». Uno dei protagonisti della disputa cita Lucio Dalla, senza accorgersene. Ma il tema è soprattutto questo: prendere posizione sul tipo di pace che si vorrebbe raggiungere fa scivolare il dibattito nelle accuse reciproche di americanismo oppure di putinismo. I social e i salotti della tv generalista non sembrano così lontani da quella saletta nella provincia di Prato.
Le differenze e i distinguo della sinistra qui tornano fuori tutti. E non è facile parlare dell’invasione russa in Ucraina in un luogo in cui campeggiano ancora molti dei simboli dell’Unione sovietica che fu. Niente nostalgia eh, soltanto ricordi, ma di un certo tipo. Accanto alla biblioteca sociale campeggiano due foto del presidente fondatore della Casa del Popolo, Renzo Bellandi: un ritratto del suo viso coraggioso e una foto di una sua gita in Russia (didascalia: Mosca, 1968. Gli angeli del soviet supremo). Proprio lì si discute.
Simboli
Sotto la televisione un gruppo di anziani accende la discussione Fuori la bandiera della pace, dentro la foto del viaggio a Mosca 1968
Chi prova in qualche modo ad attenuare le evidenti colpe russe viene fatto oggetto di accuse aperte sempre dalla stessa parola: «Invasore». Tuttavia il malcapitato si difende attaccandosi alle ragioni di un «vento americano che si spiega da sé, perché nel Dombass ci sono i giacimenti di carbone per tirare avanti cinquant’anni e la guerra, alla fine, si fa sempre per questo!». Appare limpido, a chi da lontano assiste alle grida, il significato dell’espressione toscana «dare sulla voce».
Giovanni spiega che «la Resistenza è con le armi o non è», quella degli ucraini oggi come quella che tra poco si celebrerà con il 25 Aprile. «Chi non manda le armi vuole la resa». Qualcuno ordina una spuma bionda. Un tizio con un cappello da cowboy entra e prende un bicchiere di bianco, perché in provincia alle 17.30 è già l’ora dell’aperitivo.
La discussione che sembrava sopita si riaccende di colpo. Alla rincorsa vocale partecipa con veemenza anche il più anziano del gruppo, «il Masi», che principia rivendicando il fatto di aver vissuto le guerre mondiali, avanzando dunque titolo maggiore per dire la propria. «Quante guerre hanno fatto gli americani? Ne posso dire decine, siamo stanchi. Ora vogliono farci credere che le cose sono cambiate ma il loro intervento c’è e si vede». «Te dici che hai fatto le guerre — gli risponde un altro — e chi ci ha liberati a noi? Dovremmo esser più riconoscenti con gli americani e poi a noi non c’han mai dato noia». «Per forza, siam sotto di loro!», lo respinge il Masi.
Il barista, un trentenne che vince per distacco la palma del più giovane del circolo, spiega di esser qui solo da qualche mese: «Ma è sempre così, va avanti per tutto il giorno», dice guardando i contendenti con la chioma bianca che si affrontano sulla geopolitica. Nello schermo sopra le loro teste parte il video di una canzone di moda, ma nessuno sembra farci caso: uno di loro fa per uscire a fumare una sigaretta e si mette sotto la bandiera che sventola fuori dal circolo. C’è scritto Pace, ma nessuno è d’accordo su come ci si debba arrivare.