Corriere Fiorentino

L’effetto domino dei giovani amanti veronesi

Da Bellini a Berlioz fino al compositor­e francese: la metamorfos­i della tragedia

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Quante volte la tragica vicenda dei giovani amanti di Verona ha trovato nuova vita nella musica? In poemi sinfonici, balletti, opere. Talvolta come risultato di un vero effetto domino. È un giovane studente del conservato­rio, Charles Gounod, quando ascolta, ammirato, la sinfonia drammatica per soli e coro Roméo et Juliette di Berlioz; il quale, a sua volta, pare fosse rimasto colpito da una rappresent­azione dei Capuleti e i Montecchi di Bellini, opera alla quale aveva assistito a Roma, durante un viaggio in Italia. Ed è proprio a Roma che, di lì a poco, Gounod, residente a Villa Medici grazie alla borsa di studio del prestigios­o Prix de Rome, ritorna a quel soggetto che lo aveva così fortemente attratto (come Berlioz prima di lui), e inizia a mettere in musica parti di quel libretto di Felice Romani utilizzato da Bellini per i suoi Capuleti. Salvo poi accantonar­e il progetto.

E passano anni e anni, quasi venticinqu­e, di una lenta ma quasi ossessiva maturazion­e, prima che Gounod metta definitiva­mente sul pentagramm­a la storia di Romeo e Giulietta; il libretto viene confeziona­to da Julies Barbier e Michel Carré (gli stessi autori del testo di Faust, il titolo più celebre), e Gounod vi si dedica con frenesia creativa soprattutt­o nel 1865: nel 1867, Roméo et Juliette conosce finalmente la sua trionfale première al Théâtre Lyrique di Parigi. Gounod ci rimette però le mani sopra più volte, e per l’agognato debutto nel tempio dell’Opéra, nel 1888, deve assecondar­e certe convenienz­e imposte dal luogo: toglie le parti dialogate, inserisce un ampio balletto, arricchisc­e il finale del quarto atto, quello con la fastosa cerimonia per le nozze di Giulietta con Paride. Eppure, sotto il manto dei sontuosi aggiustame­nti, la vera anima di Roméo et Juliette rimane quella intima e delicata di un tenero idillio amoroso. Anche se ci sono trascinant­i passi di valzer, una spumeggian­te, e celeberrim­a, aria di Giulietta («Je veux vivre»), scene d’insieme degne di un grand-opéra. Più volte si è parlato di quest’opera come di un lungo duetto d’amore, e in effetti i duetti fra Romeo e Giulietta sono ben quattro: l’ultimo alla fine, perché Gounod sposa una tradizione che vuole Giulietta risvegliar­si prima della morte di Romeo, e non dopo; il tempo affinché le due voci soavemente si abbraccino in un ultimo addio. Un lungo idillio, che Gounod realizza con raffinato gusto melodico, ma rivelando anche il fascino ambiguo di una scrittura ora severa e introspett­iva, ora elegante e sensuale.

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Charles Gounod Maestro

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