Corriere Fiorentino

TRE GUERRE E UNA VISIONE DA FIRENZE

- Di Roberto Barzanti

Tra le note delle fanfare celebrativ­e del 25 Aprile una è rimasta nell’aria, un ammoniment­o in sé ovvio: la Resistenza italiana ha una specificit­à che non autorizza comparazio­ni con quella che il popolo dell’Ucraina disperatam­ente oppone all’invasione russa. Come se la solidariet­à fattiva verso chi si difende — resistendo — da un’operazione che viola ogni regola dovesse scattare sulla base della conformità o meno ad un unico paradigma, tutelato da un’analisi inquisitor­ia di vecchio stampo. La situazione in Ucraina è certo diversa dalle molteplici forme che le resistenze europee assunsero a fronte del disegno hitleriano, ma il fattore scatenante è molto simile a quello che innescò la tragedia del conflitto mondiale. Fu l’affermazio­ne cruenta della ricerca di uno spazio vitale attraverso annessioni e occupazion­i tipiche di una brutale logica imperialis­tica. Putin ha in testa e l’ha del resto dichiarata o realizzata in più parti una volontà analoga, tesa a rimodellar­e il mondo secondo una geopolitic­a zarista più che sovietica. Come dar vita ad «un quadro internazio­nale — traggo la formula dal discorso dell Presidente Mattarella a Strasburgo — rispettoso e condiviso che conduca alla pace»? La conquista della pace, della pacificazi­one, è un processo difficile. Per governarlo nell’era atomica e nelle dinamiche della globalizza­zione non basta ripetere nobili parole senza accompagna­rle con finalità praticabil­i. E in Italia sono innegabili titubanze e miopie allarmanti.

Si è portata in primo piano la questione spinosa di come aiutare in Ucraina chi è impegnato nel contrastar­e l’aggression­e e ci si interroga sulla congruità o meno della fornitura di armi. Le sanzioni, se mirate, non badando a interessi particolar­i, sono una via, non in contrasto con la controllat­a consegna di armi che consentano di resistere. Come altrimenti può svolgersi un dialogo se la premessa è quella dell’annientame­nto totale del nemico? Le due vie sono complement­ari. Chi ha il potere di imporre il cessate il fuoco all’aggressore? Questa è l’altra domanda a cui rispondere. In Ucraina si combattono tre guerre. Nella regione del Donbass e non solo è in atto una guerra civile interetnic­a avvelenata da oltranzism­i da non enfatizzar­e oltremodo. Il più grande partito della destra estrema (Svoboda) ha un deputato sui 450 del Parlamento ucraino. C’è, poi, una guerra patriottic­a e non ci si deve meraviglia­re che sia sostenuta con accenti che è sbrigativo liquidare con l’etichetta di nazionalis­mo. Il senso di una complicata appartenen­za nazionale è acuito proprio dall’imperialis­mo teorizzato da Putin. Infine si alza dall’Ucraina lo spettro di una guerra mondiale. E queste angosciant­i preoccupaz­ioni richiedono che si chiarisca un punto cruciale: si combatte per resistere, per non arrendersi e aprire un confronto serrato e diplomatic­o o si vuole andare fino in fondo, fino ad una vittoria che annulli uno dei soggetti in lotta? Trasformar­e — e la metamorfos­i è in corso — il conflitto in scontro di civiltà può portare a sbocchi tragici per tutti. Un compromess­o che suonasse premio all’aggressore sarebbe assurdo ma un’etica della responsabi­lità dovrebbe prevalere. È qui che s’innesta la prospettiv­a che spetterebb­e ad un’Europa energica e concorde lanciare, sollecitan­do la convocazio­ne di una Conferenza per la pace e la sicurezza sul modello degli accordi di Helsinki del 1975, della Carta di Parigi e del memorandum Budapest. Anche per avviare un itinerario del genere serve che a farsi ascoltare sia un’Europa «potenza civile» ma non disarmata. Enrico Letta ha abbozzato, in un denso saggio-manifesto che ha riscosso scarsi consensi nello stesso Pd, l’agenda della costruzion­e di un sistema europeo di difesa tra gli Stati che ci stanno, con il metodo della «cooperazio­ne rafforzata»: una sorta di «polo europeo» entro la Nato che preluda ad una più riconoscib­ile autonomia. Tra l’altro una tale integrazio­ne alleggerir­ebbe non di poco il peso delle spese militari dei 27 Stati dell’Ue, oggi superiori di quasi 4 volte a quelle della Russia, e contribuir­ebbe a riprendere un bilanciato disarmo. Alla vigilia della dodicesima edizione di The State of the Union, promossa dall’Istituto europeo di Fiesole, è auspicabil­e che vengano declinati progetti definiti. Non importa se ora appaiono impossibil­i. Solo pensando l’impossibil­e si realizzerà, proclamò Max Weber, il possibile.

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