Oltrarno in lutto, se n’è andata anche Lina
San Felice, addio alla proprietaria della storica mesticheria. Il figlio: «La terrò aperta»
«Mia mamma mi ha detto: Cipriano, non devi chiudere il negozio nemmeno il giorno del mio funerale». E così ha fatto, Cipriano Catellacci.
Ieri pomeriggio, non appena il feretro della mamma Lina ha lasciato la chiesa di San Felice, ha aperto la mesticheria che fu di suo nonno Gino, poi del padre Patrizio e infine di Lina Capalbo. Patrizio lo ha portato via il Covid, nel 2020. Per Lina è stata una malattia più lunga. Ma la mesticheria Catellacci, uno dei simboli dell’Oltrarno, della fiorentinità che resiste, del rione di San Felice che rischia di perdere anche la famosa farmacia, non intende mollare. «È un baluardo della tradizione, non cambierà mai stile, approccio, merce, finché ci saranno clienti — racconta Cipriano, che prima faceva il maestro, ora è tutto per la bottega di famiglia — Voglio portarla avanti almeno fino a raggiungere il centenario».
Il negozio fu aperto dal nonno Gino il 27 luglio del 1938. Quindi l’impegno di Cipriano è per almeno i prossimi 16 anni. E per omaggiare il nonno ci ha costruito dentro anche un piccolo museo «dedicato al rosso garofano, il colore per mattoni inventato da quell’artista di mio nonno». A dare l’ultimo saluto all’amata Lina c’era mezzo rione. «Dopo che morì il marito, Lina si prese un cagnolino a cui vogliamo tutti un gran bene» racconta la signora Roberta.
«Qui lo spirito del quartiere d’un tempo resiste: quando sono svenuta qui davanti — Roberta indica l’angolo tra piazza San Felice e via Mazzetta — è stata Lina a raccogliermi». C’è un altro cagnolino che entra in chiesa per il funerale. A portarlo a guinzaglio è la signora Maria, il «baluardo contro tutte le ingiustizie» del quartiere. La chiamano così. Lei annuisce: «È un lavoro a tempo pieno, sa?». Ora c’è rimasto solo il Bar Bianchi e la farmacia, oltre alla mesticheria Catellacci. «Prima con la tavola calda, il Caffè Ricchi, La Casalinga e La Mangiatoia eravamo una realtà grande coesa. Ora siamo solo coesa. Ma alla messa qui in San Felice siamo sempre in tanti» prosegue Roberta, che del rione è una delle anime più combattive. «Ci tengo, ci teniamo».
La mesticheria non ha «mai chiuso nemmeno un giorno: durante la guerra il nonno chiudeva durante l’allarme bombardamenti, poi riapriva. E durante l’alluvione portava candele a tutti quelli rimasti al buio: se non ci hanno fermato né la guerra né l’alluvione — si chiede Cipriano — posso fermarmi adesso?».
Promessa
Mi aveva chiesto di non chiudere nemmeno il giorno del suo funerale E così ho fatto