Siena, il pm alle ragazzine bulle: ultimo avviso
Interrogatorio per 4 indagate. Il legale: l’obiettivo era capire se hanno compreso gli sbagli
di quattro delle dieci ragazze della baby gang senese non sarebbe stato il classico interrogatorio tra pubblico ministero e indagati. Più un confronto circostanziale per inquadrare la situazione e dare modo alle persone coinvolte di capire la gravità delle loro azioni. «Una prassi non inusuale — parla Maria Teresa Fasanaro, legale di almeno tre indagate — considerata l’età delle protagoniste».
A Firenze, è stato il giorno del faccia a faccia con quattro delle ragazze tra i 14 e i 17 anni finite nell’indagine sulla baby gang. Protagonista di aggressioni e azioni punitive a Siena.
Di fronte al pm del Tribunale dei minori, Filippo Focardi, Fasanaro si è presentata con una delle assistite, accompagnata da un genitore. «Entrambi hanno dimostrato consapevolezza di ciò che è accaduto (le violenze si sono susseguite per quasi due anni, ndr) — prosegue l’avvocato — L’obiettivo primario è rieducare queste persone, ma prima ancora accertarsi che chi è coinvolto dimostri di aver compreso gli sbagli».
Era presente anche Alessandro Betti, legale di un’altra delle «bulle», che ha avuto le stesse impressioni: «Ci si muove in un contesto delicato e da parte della Procura c’è prima di tutto necessità di capire il motivo di questa situazione».
Da ciò che è emerso, il pm avrebbe rivolto una sorta di monito definitivo alle giovani, una reprimenda da «ultimo avviso» anche in virtù del fatto che non si è trattato di un singolo episodio. Scaturito, per quanto ricostruito dall’avvocato Betti, «da motivi futili». In pratica la banda avrebbe punito comportamenti come un ordine non rispettato, uno sguardo di troppo o una mancanza di rispetto. Questo spiegherebbe perché chi voleva lasciare la gang, venisse puQuelle nito. Il questore di Siena, Pietro Milone, quando è scoppiato il caso parlava della «volontà di ridurre l’altra persona all’impotenza e rendere visibile questi forma di supremazia».
Visibilità data dai social, con le bravate del gruppo che facevano il giro tra i coetanei. «Non mi sembrerebbe che ci sia stata una corsa ai like — precisa Betti — I social sono naturali per queste generazioni e tutto finisce lì. Una volta si usavano i muri per scrivere, sia quelle reali che quelli virtuali, impiegati dalle tifoserie sportive». Il resto degli interrogatori proseguirà nei prossimi giorni, mentre gli inquirenti continuano a concentrare la loro attenzione sui telefoni sequestrati.