Chiara, il piccolo Kiaf «Solo, malato L’ho preso in affido, è stato amore fino alla fine»
Il bimbo è morto domenica per una rara malattia. Era stato abbandonato dai genitori, due anni fa l’affido dopo l’incontro al Meyer: fu subito amore
Chiara Fossombroni ha preso in affido il piccolo Kiaf due anni e mezzo fa. Si erano conosciuti al Meyer dove il bambino, abbandonato, era ricoverato per una gravissima rara malattia. Chiara è diventato di fatto la mamma di Kiaf. Lo portava sempre con sé, al Consiglio di Quartiere 2, gli ha fatto conoscere il mare, gli animali. Sapeva che il bambino probabilmente non sarebbe riuscito a sconfiggere la malattia. Kiaf si è spento domenica. «Ci rivedremo, per me sei stato un dono. Per questi due anni insieme provo solo riconoscenza».
Chiara sorride. Guarda il piccolo Kiaf e quegli occhi chiusi da ciglia lunghissime: «Per me è stato un dono, un autentico miracolo». Il bambino, 4 anni appena, si è spento domenica mattina a causa di una malattia rarissima, legata al gene Nbas, appena 170 casi in tutto il mondo. E ora è esposto alle cappelle del commiato di Careggi, stretto nella sua salopette gialla, dove in tanti vanno a salutarlo, a promettergli che «un giorno ci rivedremo».
Kiaf era entrato nella vita di Chiara Fossombroni due anni e mezzo fa. Era ricoverato al Meyer, con una «prognosi infausta», perché la sua malattia era in una forma molto aggressiva, non lasciava spazio alla speranza. Ma la famiglia del piccolo, pakistani che vivono in Toscana, lo aveva abbandonato in un letto d’ospedale. Altri due figli di cui farsi carico, una malattia troppo difficile da affrontare, le difficoltà economiche: così del piccolino, un anno e mezzo appena, si facevano carico alcune associazioni (la Rete delle Mamme Matte e Ma’ma Gefyra), con le volontarie che andavano a fargli visita in corsia. Finché non è arrivata Chiara: «Me lo fecero conoscere, fu amore a prima vista. Il professor Massimo Resti, che lo aveva in cura, mi disse che aveva tanto bisogno di affetto che si sarebbe attaccato anche a un manico di scopa pur di trovarne. Quel manico di scopa sono stata io». Chiara Fossombroni di Kiaf ha ottenuto l’affido, è diventata sua mamma. E, quando le condizioni di salute lo hanno consentito, in un continuo viavai tra casa e ospedale, l’ha portato fuori a vedere il mondo: «Chiara ha vissuto con lui senza mollarlo un secondo in ospedale — racconta Cristina, una delle volontarie che davano conforto al bambino — e Kiaf ha reagito all’amore infinito che riceveva. È uscito dall’ospedale. Ha visto il sole, ha toccato l’erba, ha visto il mare, è andato all’asilo, ha imparato a dire mamma».
Chiara Fossombroni, che è consigliera del Quartiere 2, da Kiaf non si staccava mai: lo portava con sé agli eventi, l’aveva sempre accanto al
Consiglio di Quartiere, nelle tante riunioni online di questi due anni di pandemia: «Era una presenza fissa anche per noi, ci eravamo affezionati», raccontano altri consiglieri. Negli ultimi mesi, le condizioni del bambino si erano aggravate, ma Chiara racconta che «quella “prognosi infausta” non volevo pensare che fosse vera, per me ogni giorno con lui era un dono».
«Chiara ha protetto e amato Kalif, regalandogli dignità e ricordi fino all’ultimo secondo», raccontano le amiche. Nei mesi scorsi, la mamma affidataria aveva scritto un libro: si chiama «Sa’id, la risposta sei tu» (Scatole Parlanti edizioni), racconta la storia di una donna che non riesce ad avere figli e che poi ha quell’incontro miracoloso in ospedale: «Davanti a me c’era un esserino minuscolo, mi ricordava Mowgli, il personaggio del Libro della Giungla per la peluria che aveva sulla fronte e la pelle ambrata. Mi ritrovavo sola ad accudire uno scricciolino indifeso, che in vita sua aveva visto solo camici bianchi e sentito il dolore degli aghi e il rumore degli allarmi dei macchinari. Non lo conoscevo e già gli volevo bene. Mentre mi guardavo intorno non mi ero accorta che nel frattempo i suoi occhi si erano aperti: occhi enormi e ciglia talmente lunghe che avrebbero fatto invidia a qualsiasi donna. Improvvisamente aveva allungato le sue braccia verso di me, iniziando a piangere. Lo presi istintivamente in braccio e sentii le sue gambine scalpitare. Lo tenni tra le braccia tutto il tempo, parlandogli, canticchiandogli qualche canzoncina, e più cantavo più lui ballonzolava facendomi capire che gli piaceva. Le poche ore trascorse con lui quel giorno spalancarono i miei sensi a qualcosa di nuovo, a un terreno inesplorato, intriso di odori, profumi, sensazioni, emozioni che neanche il più affascinante dei miei viaggi o l’amore più grande per un uomo avrebbero potuto eguagliare».
Chiara, sostenuta da una grande fede religiosa, oggi usa la parola «riconoscenza» per raccontare i due anni e mezzo che Kiaf le ha regalato. E lancia anche un appello a favore dei bambini abbandonati, in cerca di affido: «Non vi fare spaventare dalla disabilità, incontrate questi bambini. Se, come è successo a me, sboccia l’amore, e può sbocciare solo incontrandosi davvero, sarà la cosa più bella che vi potrà mai capitare».
Prima aveva conosciuto solo camici bianchi, il primario mi disse che si sarebbe attaccato a me come a un manico di scopa e io lo sono diventata. Per me è stato un dono