Il rischio di un’eccessiva frammentazione
alla burocrazia, fra i fattori che più frenano la crescita e la ripartenza del Paese c’è l’eccessiva frammentazione del tessuto imprenditoriale. L’Italia, storicamente, è sempre stata caratterizzata da una fitta rete di piccole medie imprese (Pmi) che, da sole, generano il 66,9% del valore aggiunto complessivo nell’economia non finanziaria nazionale (contro una media europea di 56,4%) e una quota di occupazione ancora maggiore, pari al 78,1% (la media europea è del 66,6%). «Questa peculiarità, che in passato ci ha permesso di sviluppare un sistema produttivo specializzato e molto flessibile, rappresenta un elemento di rischio – spiega Alessandro Parrini, partner PwC Italia, responsabile dell’Area Centrale e dell’ufficio di
Firenze di PwC –. La frammentazione del nostro tessuto imprenditoriale comporta una minore competitività su un mercato sempre più caratterizzato da grandi player. Secondo Cerved, le Pmi hanno mostrato grande resilienza alla crisi e, grazie all’effetto combinato di interventi emergenziali, come la moratoria sui debiti e le garanzie pubbliche ai prestiti, e di azioni di efficientamento per contenere i costi, già nel 2022 si stima il ritorno ai livelli di attività e di redditività pre-pandemici». Ma cosa serve alle piccole medie imprese per poter crescere a livello qualitativo e dimensionale? «Gli imprenditori auspicano percorsi di consolidamento e crescita che combattano la frammentazione del sistema produttivo – proseguono da PwC –. Per fare ciò, è necessario fare filiera, permettendo la creazione di poli di eccellenza competitivi capaci di favorire processi di ammodernamento e di innovazione. Occorre inoltre aumentare la scala dimensionale del tessuto imprenditoriale italiano in modo da attuare economie di scala, attraendo le risorse e le competenze necessarie per migliorare il posizionamento competitivo sui mercati esteri».