LA SCUOLA NON PUÒ TRASCURARE LA MUSICA E LA SUA STORIA
In tutti i tempi e in tutte le culture la musica è stata sempre presente, accompagnandoci fin dalla nascita per tutta la vita. Recenti studi indicano che il bambino nasce con un cervello già pronto a elaborare il mondo musicale: quindi siamo nati per ascoltare e fare musica! La musica prima di tutto è Arte e, in quanto tale, sviluppa il pensiero creativo e la sensibilità artistica ed estetica. La musica ha uno scopo educativo sia nel momento in cui si ascolta, sia quando è oggetto di studio. Ma ha anche un ruolo di promozione del benessere (ad esempio con il piacere anche fisico che ci procura un brano che ci suscita emozioni o ci evoca ricordi), e aiuta ad esprimere sentimenti, paure e dunque ad esorcizzarle con il suo potere curativo. Ha avuto uno spazio predominante nell’educazione fin dall’antichità, basti pensare ai grandi filosofi e pensatori come Aristotele, Socrate e Pitagora, grandi cultori di questa disciplina: di certo la musica ricopre un ruolo eminente tra le arti e nella storia della civiltà umana. Ma oggi, cosa è rimasto della musica negli ambiti educativi? Alle scuole primarie e secondarie di primo grado è una materia prevista, per quanto nella sua applicazione si vada un po’ a macchia di leopardo, con pochi insegnanti, dedicati e preparati. Ma poi negli anni successivi si perde, e questa è una grande lacuna della scuola: la musica dovrebbe essere una disciplina obbligatoria in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Il «far musica a scuola», con la voce, con gli strumenti, con il ballo, permette ai giovani di esplorare la propria emotività, di scoprire la dimensione interiore e quindi di sviluppare e affinare la propria affettività. Ma soprattutto è necessario metterne in luce tutte le potenzialità: garantire programmi, laboratori e strumenti per implementarne lo studio e la diffusione. C’è una disattenzione e una trascuratezza nei confronti della musica rispetto alle altre arti all’interno dei programmi scolastici: lo spazio dedicato alla letteratura è notevole, meno valorizzate le arti visive, poco o nulla la musica. Se ripensiamo allo studio della storia come studio dell’evoluzione di culture e società, è giusto approfondirne tutti gli aspetti, soprattutto per quello che di positivo e inventivo hanno prodotto. Invece a scuola si studia sì la storia, ma concentrandosi più su guerre e conquiste e meno sugli aspetti creativi, di crescita dei popoli: come tutte le arti, anche la musica può diventare rappresentazione di un determinato periodo storico. Ma c’è un altro aspetto: saper leggere la musica è come imparare un’altra lingua. La musica quindi va studiata, per poter decodificare un altro alfabeto, in cui linee, punti e altri simboli forniscono precise indicazioni su ritmo, altezza, durata, velocità e tecnica musicale. Comprendere le note musicali, imparare a leggere lo spartito, allenarsi per tenere il tempo, sono attività che coinvolgono il corpo e la mente, e facilitano i processi di memorizzazione. Apprendere la musica significa migliorare anche l’apprendimento dei concetti propri del linguaggio e sviluppare il ragionamento logico-matematico: infatti la matematica e la logica sono fondamentali per comprendere e interpretare il ritmo. Qualsiasi strumento si decida di suonare, è necessario dedicargli attenzione, concentrazione e impegno, doti che sempre di più sembrano diminuire ai giorni nostri. E non aiuta alle elementari il suonare la melodica o il flauto: è vero che sono strumenti economici e poco pesanti da portare in classe, ma molto tristi se suonati da soli e quasi sempre sgradevoli se suonati in gruppo. «La musica nelle scuole è un disastro e basta flauti!», gridava Ennio Morricone. Ma la musica va anche ascoltata: come fanno i ragazzi ad abituarsi e apprezzare cose che non hanno mai sentito? Dobbiamo introdurre «la storia della musica», facendola ascoltare in classe, perché è difficile che piaccia ciò che non si capisce e non si è contestualizzato. Di fatto le sale da concerto e i teatri d’opera ormai sono «per anziani» o musicofili: paradossalmente musicisti giovani si trovano (grazie a percorsi specifici come i conservatori) ma trovare pubblico giovane a un concerto diventa un fatto puramente occasionale.