Macchiarini, la difesa diventa uno show
Processo in Svezia, il chirurgo in aula con una lavagna. «Responsabilità? Non mie»
SOLNA (SVEZIA) È stato il giorno di Paolo Macchiarini. Ieri, nel tribunale di Solna, il chirurgo viareggino si è presentato in aula per difendersi dalle accuse di aggressione aggravata nei confronti di tre pazienti morti a cui aveva fatto un trapianto di trachea con tanto di lavagna. Macchiarini ha tenuto una vera e propria lezione. Si è difeso dalle accuse e scaricato responsabilità nei confronti dei dirigenti del Karolinska, l’ospedale di Stoccolma.
SOLNA (SVEZIA) Quando è stato il suo turno di prendere la parola, Paolo Macchiarini, vestito con un abito scuro, un codino raccolto dietro la nuca, ha srotolato una piccola lavagna su due ruote. Ha cominciato a disegnare le vie aeree superiori, i bronchi, i polmoni, trasformando la sua difesa in una lezione: da giovane, «mi sono innamorato delle vie aeree», ha detto. Nell’aula del Tribunale di Solna, Svezia, dove è imputato per le sofferenze inflitte a tre pazienti con i suoi trapianti di trachea — operazioni che la Procura ritiene inutili e prive delle necessarie autorizzazioni — il chirurgo viareggino ha trasformato l’udienza in uno show. In cui però ha rinnegato la sicurezza vantata molte volte sull’efficacia dei suoi interventi, quando a più riprese ha ribadito di non avere responsabilità: «Sono accusato di negligenza, ma non sono io il responsabile di questo. Un ospedale ha dei dirigenti. Non posso fare nulla senza l’approvazione dei miei superiori. Non posso eseguire un’operazione, non posso fare né male, né bene, senza permesso».
È un concetto che Macchiarini ha ripetuto anche attraverso il suo legale, chiamando in causa i vertici del Karolinska, l’ospedale di Stoccolma espressione del celebre Istitutet che assegna i premi Nobel per la Medicina, per il quale ha lavorato tra il 2011 e il 2016, quando fu licenziato. I tre pazienti che Macchiarini ha operato in Svezia, con la sua (presunta) miracolosa procedura che prevedeva la sostituzione della trachea con una artificiale, bagnata di cellule dello stesso paziente, sono poi deceduti: si chiamavano Andemarian Beyene, Chris Lyles e Yesim Cetir, avevano 36, 30 e 26 anni. Il chirurgo non è accusato del loro decesso, ma di averli sottoposti a interventi che ne avrebbero aumentato le sofferenze malgrado fossero privi di ogni base scientifica: non erano riconosciuti ufficialmente dalla medicina e, secondo il procuratore capo, Mikael Björk, non sarebbero stati neppure inquadrati in una sperimentazione ufficiale.
«Eseguire tali operazioni senza un consenso informato è contrario a chi sono», ha detto Macchiarini, aggiungendo però, in riferimento alla prima operazione svedese, quella fatta nel 2011 sull’eritreo Andemarian Beyene, che era «sperimentale». Il chirurgo, oggi 63enne, parlava in inglese, tradotto in aula da due interpreti. Non è quindi chiaro se quell’aggettivo si riferisca a una sperimentazione formalizzata, di cui secondo la Procura non risulta traccia, o se invece fosse un modo prosaico per dire che si trattava di un intervento pionieristico. Perché il punto del processo, e della storia di un uomo che per anni ha fatto credere a molti di essere un mago dei trapianti, ruota tutto attorno a questo punto: erano procedure compassionevoli, tentativi disperati per salvare la vita a pazienti altrimenti senza speranza, come ha più volte detto lo stesso
Sono accusato di negligenza, ma io non c’entro . Un ospedale ha dei dirigenti, non posso eseguire un’operazione, né far male o far bene senza il loro permesso
Macchiarini? Non per la Procura, secondo cui le condizioni dei pazienti non erano tali da giustificarle. Erano sperimentazioni autorizzate, di cui i pazienti erano consapevoli? Neppure, secondo Mikael Björk. Di certo, non erano operazioni riconosciute ufficialmente dalla scienza, visto che la pezza d’appoggio, le pubblicazioni fatte dallo stesso Macchiarini su The Lancet, sono state ritirate dalla rivista nel 2018 perché pasticciate e piene di errori.
La vicenda non è molto diversa da quella percorsa dal chirurgo toscano durante la sua esperienza di Careggi, tra il 2009 e il 2012, quando si dimette dopo un’inchiesta che lo porta agli arresti (le vicende giudiziarie italiane, finite con l’assoluzione, tuttavia non hanno nulla a che fare con i suoi trapianti). Nell’ospedale universitario fiorentino, Macchiarini esegue cinque trapianti di trachea. Solo l’ultimo fa parte di un’effettiva sperimentazione formale. Il 27 gennaio 2011, due giorni dopo l’ultimo intervento, il Corriere Fiorentino riportava le dichiarazioni di Cristina Pintus, responsabile dell’unità terapie avanzate di Aifa, l’agenzia italiana del farmaco: i «saggi» di Careggi, diceva, «mi hanno chiesto come procedere, ho risposto che devono chiedere a Macchiarini di cominciare una sperimentazione clinica. Perché, dopo aver già fatto 4, 5, 6 trapianti con una tecnica favolosa che utilizza cellule staminali ora deve mostrare i risultati. Lo dice la legge». E ancora: «Ad oggi non sappiamo niente. Come viene prodotta questa trachea bioingegnerizzata. Se nel medio lungo periodo viene rigettata. Cosa succede ai pazienti, se ci sono stati decessi, quali sono le controindicazioni, che fine fanno le cellule impiantate».
Quel quinto intervento, su richiesta dello stesso Macchiarini, fu inserito in una sperimentazione, che finalmente entrò sotto la responsabilità del Centro Nazionale Trapianti. Ma nel 2016, il suo allora direttore, Andrea Nanni Costa, diede al nostro giornale un responso impietoso: «L’esito della sperimentazione è gravemente negativo». Anzi, aggiunse che quella sperimentazione, dopo appena un intervento, era stata interrotta per decisione dello stesso chirurgo (che però ieri quel trial in aula l’ha rivendicato più volte). Una sentenza, almeno dal punto di vista medico scientifico, malgrado i tanti che per anni lo hanno acclamato come un genio, Macchiarini se l’è già data da solo.